Gli agenti mi portarono in centrale, mi misero in sala interrogatori
ammanettata, una stanza quasi del tutto spoglia tranne che per un
tavolo in acciaio, quattro sedie, una telecamera su un treppiedi e un
enorme specchio a parete.
Restai a guardare il mio riflesso per molte ore, finché alla quarta
quello che sembrava un detective aprì la porta, in mano portava una
cartella e un sacchetto per le prove. Appoggiò il materiale davanti
a me e accese la telecamera, poi aprì la cartella e cominciò a
sfogliare i documenti al suo interno.
- Cognome, nome e data di nascita - esordì l'uomo indicando con un
cenno la telecamera.
- Monroe, Marilyn, 1 giugno 1926 - gli sorrisi.
L'uomo alzò lo sguardo per la prima volta. - Questo non è uno
scherzo, li riconosci? - mi fece e cominciò a farmi vedere le foto
della scena del crimine, in particolare i tipi che avevo ucciso.
Io gli feci spallucce, non mi dicevano nulla, nonostante fossi io ad
averli ridotti in quel modo.
Lui sbuffò contrariato. - Allora? Nessun rimorso? Nessuna reazione?
- mi chiese.
- Dovrei? - chiesi di rimando senza battere ciglio.
- Hai ucciso sette persone a sangue freddo. Sei un sicario della
mafia cinese? Italiana?Hai usato queste giusto? - mi chiese tirando
fuori le mie pistole dal sacchetto, ma io feci sempre di no con la
testa. - Spiegami il perché, allora?
Mi guardai attorno e mi grattai la testa, ero stanca di stare seduta
li dentro. - La solita merda: spaccio di droga, contrabbandando di
schiavi, prostituzione, tortura, omicidio. - risposi.
- Di cosa stai parlando? - continuò l'uomo turbato.
Mi misi a ridere. - Davvero non lo sai? Quel posto era il centro del
traffico di droga e prostituzione della città. In più era anche un
luogo di tortura di ragazze immigrate. Il bordello dei sadici. -
confessai. Dire la verità poteva aiutare a far smuovere le acque,
valeva la pena tentare.
- Potevi chiamare la polizia, avremo indagato - sbottò quasi
arrabbiato.
Capivo il suo punto di vista ma scoppiai comunque a ridere. - Ma non
prendermi per il culo, detective Holler! La gente che dovrebbe
mettere in gabbia questi individui è la stessa che li paga per certi
servizi personali.
- E chi sarebbero queste persone? - L'uomo sembrava incuriosito.
- Sindaci, giudici, procuratori, vigili del fuoco... poliziotti. La
lista è molto lunga - risposi.
L'uomo rimase stizzito, era come se si chiedesse se fosse tutto vero.
Lo capivo, era dura da mandare giù, comunque meglio dell'altra
verità sulle streghe.
Si sporse in avanti, raccolse tutto tranne le fotografie e mi disse:
- Bene, faremo dei controlli. Non ti muovere.
- Happy birthday, my Presindent... - canticchiai mentre raccoglieva
tutto. - E dove dovrei andare? - gli risposi mostrandogli le manette.
Le foto sul tavolo servivano a farmi provare il classico senso di
colpa per ciò che avevo fatto. Mossa inutile, visto che non provavo
nulla per quei maiali. Il mio problema era come avrei fatto a fuggire
senza uccidere nessuno: non tutti i poliziotti erano corrotti.
Un quarto d'ora dopo la porta si aprì ed entrò un altro poliziotto.
Lo guardai meglio e lo riconobbi subito: era lo stesso della camera
insonorizzata, ma senza sangue sul viso.
- Quindi lavori qui, eh? - gli chiesi beffarda.
Lui chiuse la porta dietro di se, si avvicinò e senza preavviso mi
prese la nuca e mi fece sbattere la faccia sul tavolo. - Non devi
dire un cazzo. Hai capito, puttana? - mi ordinò.
Sorrisi, era la mia occasione d'oro e fruttai la vicinanza dell'uomo
per rubargli una penna dalla tasca, lui non si accorse di nulla. -
Hai paura che ti scoprano? Ti vergogni, poverino. Piccolo sadico che
non sei altro - lo sbeffeggiai.
Lui preso dall'ira mi fece sbattere di nuovo la faccia sul tavolo,
stavolta il dolore era lancinante ma nonostante tutto non smisi di
ridere. Quel dolore fisico era nulla in confronto al dolore che
provavo nel cuore.
- Pensi sia un gioco? Che esiterei a ucciderti solo perché sei in
una stazione di polizia? Tu non sai chi sono io, ma io so chi sei tu.
Se solo una povera puttana, e sai cosa succede alle puttane
disobbedienti? Muoiono - mi fece l'uomo.
Io risi ancora più forte, la minaccia non aveva avuto alcun effetto
con me. - Hai ragione, io non so chi sei e, sinceramente, non me ne
frega un cazzo. Mai i miei amici a quest'ora di certo lo sapranno.
- Amici? Quali amici? - chiese allentando la presa. - Rispondi,
stupida troia! - sbraitò.
Poi fece per colpirmi con un pugno quando il suo cellulare cominciò
a squillare. Lui mi guardò perplesso ma io gli sorrisi e fece
spallucce.
L'uomo prese con cautela il cellulare dalla tasca e rispose. -
Pronto... come? Ma chi cazzo...? - fece una faccia stranita e me lo
passò.
Anch'io ero stupita della cosa. - Pronto? - chiesi.
- Ciao, sei nella cacca, a quanto vedo. Tranquilla, ci penso io.
Metti in vivavoce per cortesia - Era la voce di Alan. Per un attimo
mi rilassai e lo ringraziai mentalmente, se avessi agito di testa mia
qualcuno sarebbe stato sicuramente ferito o ucciso. Misi
l'apparecchio sul tavolo e accesi il vivavoce. - Puoi parlare -
dissi.
- Grazie. Signor detective, le consiglio caldamente di lasciar andare
la mia collega - disse Alan.
L'uomo rise nervoso. - E perché dovrei farlo? Dovrei obbedire ai
capricci di uno stupido ragazzino invaghito della troia asiatica di
turno?
<< Assolutamente no, signor detective. Ma se non lo fa, io
schiaccerò un tasto sulla mia tastiera e tutti i suoi colleghi
riceveranno, nei loro cellulari, un interessante video di lei che
tortura un certo numero di giovani ragazze - spiegò con calcolata
freddezza Alan. Un po' mi fece paura ed ero felice che fosse dalla
mia parte.
- Che cazzo dici? Non ci sono riprese di quei momenti. Non c'erano
nemmeno telecamere nelle stanze, tenta di nuovo sbarbatello - sbraitò
il detective.
- In genere avrebbe ragione. Il signor Matter aveva gentilmente
installato delle telecamere di sicurezza invisibili ad un occhio poco
attento. Il mio problema era che il complesso era scollegato da
internet e di conseguenza inviolabile per i miei mezzi. Ma se
qualcuno inserisse fisicamente una connessione internet, la cosa
sarebbe più che fattibile - continuò a spiegare Alan.
L'uomo mi guardò cominciando a sudare dalle tempie arrossate dalla
rabbia. - Figlio di puttana!
- Mia madre non è una meretrice, signor Vertans, e le consiglio di
moderare i termini, grazie. Per questa volta passerò sopra solo
perché ha capito la situazione. Allora, acconsentirà alla mia
richiesta? - chiese il ragazzo.
- Fottiti, stupido idiota! - sbraitò tirando pugni sul tavolo.
- Come vuole. Non dica che non l'ho avvertita, signor detective. -
disse Alan e subito dopo riagganciò.
Pochi secondi dopo arrivò un messaggio di notifica sul cellulare
dell'uomo che timoroso selezionò: era il video che Alan aveva
descritto, due minuti e trentasette secondi di clip che lo
inchiodavano.
Dopo altri trenta secondi la porta si aprì per l'ennesima volta e fu
il detective Holler ad entrare. Era stupito nel vedermi con la faccia
ricoperta di sangue. - Che stai facendo, Vertans?
- Io... stavo... - cercò di rispondere l'uomo.
- Sai che ti dico? Non m'importa. Esci, sei accusato di stupro,
tortura e omicidio - continuò Holler. Poi altri due agenti
entrarono, lo ammanettarono e lo trascinarono fuori dalla stanza.
Mi pulii il viso mentre richiudevano la porta. Ero di nuovo sola.
Finalmente, esultai mentre smontavo la penna e usavo
l'asticella per aprire le manette.
Uscii dalla stanza e cercai la scrivania di Holler dove trovai la
fusta con dentro le mie pistole, la presi e con tutta calma uscii
dalla centrale. Una volta fuori un ragazzo con cappuccio e maschera
mi venne incontro in sella alla mia moto.
- Hai rubato la mia piccolina dal deposito? - chiesi a Warren.
Lui mi porse il casco. - Farei di tutto per essere notato da te,
cherie - mi rispose.
Montai in sella e lo strinsi alla vita. - Ci sei riuscito in grande
stile, Warren - e appoggiai delicatamente la testa sulla sua schiena
mentre partiva per riportarmi a casa.
Quel giorno mi resi che non potevo fare tutto da sola, che avrei
avrei evitato inutili spargimenti di sangue se avessi collaborato con
i Cani da Guardia e che ero spaventata da me stessa.