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mercoledì 27 dicembre 2017

[Spinoff] Episodio 17



 Amita, Den e Alan mi guardarono dispiaciuti. Per un secondo ebbi paura che avessero capito che il ragazzo mi piacesse. Io invece stavo per crollare per la stanchezza e per lo stress provato, non abituata a stare in pensiero per una persona.
- Avete informazioni? E dai vostri contatti? Niente? - chiesi ad ognuno di loro.
Fecero tutti e tre di no con la testa, nessuno sapeva niente.
Entrai ufficialmente nel panico. - For... forse lo ha catturato quella tizia, Melinda... - ipotizzai.
- O forse è stato ucciso - fece Den.
- Continuo a dire che non ha senso - ribatté Alan.
- Ancora con questa storia? - chiese Den scocciato.
- Sì, lo ripeto ancora perché nessuno mi ascolta. Perché uccidere una buona fonte di informazioni? - spiegò Alan.
- Forse perché non tutti sono svegli come te - gli rispose malamente Den.
Amita si mise in mezzo. - Ehi, scusati. Sai che non mi piacciono questi atteggiamenti Den.
- Andiamo, non l'ho offeso. Ho solo espresso una mia opinione in merito - replicò.
- Allora dovresti spendere più tempo a cercare Warren piuttosto di demoralizzarci con le tue stupide teorie pessimistiche - lo rimproverò Amita.
Ero paralizzata ad ascoltare i loro continui battibecchi, capii anche che Den e Amita avevano una relazione da alcune frasi che si erano detti, ma non mi importava nulla. Volevo solo trovare Warren.
- Ora basta! - sbraitai esasperata. Tutti nella sala si zittirono. - Adesso voi rimarrete qui finché non tornerò con Warren, chiaro? - urlai.
- E come intendi trovarlo se nemmeno noi ci siamo riusciti? - chiese Amita, dal tono di voce sembrava stanca, come se non avesse dormito molto. Forse un effetto collaterale del suo potere, molte Streghe Chiaroveggenti soffrono d'insonnia per colpa delle loro visioni.
- Cercate nei posti sbagliati. Forse conosco qualcuno che sa qualcosa - le risposi.
- D'accordo, noi nel frattempo cerchiamo di trovare il cellulare attraverso il GPS ma le pratiche burocratiche sono lunghe, ci vorrà un po' - mi disse Amita con la voce stanca.
- Non se ne parla proprio, tu ti stendi sul divano e ti riposi. Al resto ci penseranno Alan e Den, va bene? - le ordinai. Lei fece di sì con la testa e io uscii dalla loro base.
Tornai nel Bayou dall'unica persona che poteva sapere di un rapimento insolito e che allo stesso momento non volevo più vedere, il Reggente.
Quando arrivai lo vidi armeggiare con il motore di una vecchia auto arrugginita e senza ruote.
- Bellezza, cosa ti porta di nuovo da me? Non ti sarai innamorata di questo vecchio spero? - mi chiese pulendosi le mani con uno straccio sporco di grasso e altri liquidi.
- Un mio amico e stato rapito, sai qualcosa? - gli chiesi senza mezzi termini, il tempo era fondamentale.
- Vengono rapite tante persone in questa città - mi sorrise. Era palese che sapesse qualcosa, ma per qualche motivo non voleva dire nulla.
- Ha una maschera con occhiali digitali e cappotto in pelle con cappuccio nero - gli dissi con voce più alta.
- Cavolo, vai proprio al sodo, eh? Siediti, ti offro una birra e ne parliamo - mi indicò una sedia.
Impugnai le pistole senza estrarle. - Non ho tempo da perdere.
- Ehi, ehi, ehi. Calma. Sì, ho sentito qualcosa in merito. Stamattina è stato preso in custodia dalla mafia cinese un ragazzo come quello che mi hai descritto. - alzò le mani intimorito.
- Dove l'hanno portato? - continuai.
- Fuori città... - rispose poco convinto.
Sapevo che stava mentendo o non diceva del tutto la verità. - Non farmelo ripetere! - gli intimai.
- Houston, Texas - mi rispose rassegnato.
- Cazzo, ci voleva tanto? - sbottai.
- Sì, ci voleva. E sai una cosa, con te ho un conto in sospeso, stronza - mi sbraitò mentre andavo alla mia moto e la accendevo.
Presi il telefono e avvisai Amita e gli altri della mia nuova destinazione. Quello che mi preoccupava era la facilità con cui il Reggente aveva ricevuto informazioni così precise, ma lasciai da parte quel pensiero e partii per salvare il mio amico.


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mercoledì 20 dicembre 2017

[Spinoff] Episodio 16



Mi ero rassegnata al fatto di poter finire la mia missione da sola, il mio nemico era più forte di me e sapeva nascondersi bene, ma non riuscivo ancora a capacitarmi di aver coinvolto dei ragazzi innocenti nei miei casini. Vendicare lo zio Mei era diventata un'ossessione, anzi no, un dovere per poter tornare dalla mia seconda famiglia senza rimpianti.
Avevo riferito tutto ciò che avevo scoperto ai miei nuovi compagni e loro in un paio di giorni avevano trovato la residenza di Melinda Rodes, una villa in periferia con vista sul Bayou.
Per quanto riguardava i tizi incappucciati di cui aveva parlato Matter non riuscirono a trovare nulla. Fortunatamente io sapevo, più o meno, con chi avrei avuto a che fare. Francis mi disse che alcune confraternite di Streghe Hashashin avevano l'abitudine di camuffarsi con vesti e cappucci a coprire loro il viso. Provai a chiedere ad alcuni informatori ma, a detta di tutti, sembravano fantasmi e coprivano le loro tracce in modo maniacale.
- Bé, sanno come mantenere un profilo basso - mi rispose Amita quando le riferii i miei inutili tentativi di reperire informazioni.
- Così basso da risultare invisibili anche a noi in casa nostra, il che non è poco, fidati - specifico Den.
- In pratica non abbiamo niente, di nuovo - feci massaggiandomi le palpebre. Quel stare sempre su un filo per trovare piste da seguire era snervante.
Amita fece di sì con la testa. - Forse se seguiamo quella Melinda Rodes scopriamo qualcosa, ma è rischioso avvicinarsi di nuovo
- Perché? - chiesi.
- Più segui una persona, più ci sono probabilità che ti scopra. E allora sono dolori - spiegò Alan.
- Allora la ucciderò dopo che mi avrà detto tutto - gli risposi seccata.
Warren alzò la mano e disse: - Non puoi.
Lo guardai male con le mani ai fianchi. - Pensi che sia così scarsa da non riuscire ad entrare in quella villa?
- No. Penso che non riuscirai mai ad uscirne da viva, cherie. - La sua maschera aveva gli occhi dell'emoticon risoluta.
Feci un profondo respiro per rilassarmi. Aveva ragione, quello che avevo in mente era un piano suicida. Avrei chiuso quella faccenda in fretta ma non sarei tornata da Evaline e avrei messo nei guai quei ragazzi. - E cosa suggerisci? - chiesi.
- Semplice, cherie. Usiamo il piano meno pericoloso: seguo quella stronza e se trovo qualcosa ve lo faccio sapere immediatamente. - Anche se era completamente nascosto dietro quella maschera nera sentivo che stava sorridendo.
Se gli succedesse qualcosa io non..., Mi meravigliai di quel pensiero. Quel piano mi piaceva ancora meno del mio, se venisse catturato gli strapperebbero informazioni con la forza.
- E se ti... - provai a dire.
- Tranquilla, starò attento, cherie. Non ho intenzione di morire tanto presto - mi fece l'occhiolino con gli occhiali digitali.
Io mi avvicinai e lo presi per il colletto del giubbotto in pelle nera. - Lo spero per te, quella gente non scherza - gli feci.
- Lo so. E poi dovresti smetterla di preoccuparti per me o tutti penseranno che c'è del tenero tra noi, mon amour - cercò di scherzare Warren.
- Idiota! - sbottai lasciandolo andare. In quel momento non lo diedi a vedere ma per un attimo arrossii.
- Come sempre, cherie - ribatté lui mentre andava a preparare l'attrezzatura da spionaggio.
- Sì, come no - sussurrai.
Tornai a casa con una strana sensazione nello stomaco. Rimasi sveglia tutta la notte a ripensare a quello che era successo, cosa potesse implicare in una vendetta come la mia e se una storia del genere potesse avere un futuro nel mondo delle streghe.
Oh, andiamo, Kaileena. Non sai nemmeno com'è fatto il suo viso, cercai di rimproverarmi mentre mi pettinavo i capelli.
Nessun uomo mi aveva trattata bene e con galanteria come aveva fatto Warren. Tutti gli uomini che avevo incontrato volevano qualcosa da me, una sveltina, una relazione clandestina, un furto o un altro lavoro... soprattutto per lavoro. Warren, invece, lo faceva perché gli piacevo e senza un fine ben preciso. Non nego che la cosa mi facesse eccitare da impazzire.
Il giorno dopo il telefono squillò, controvoglia lo presi notando che la chiamata era di Den.
Accettai la chiamata speranzosa in informazioni utili. - Dimmi che Warren ha trovato qualcosa di utile - gracchiai.
- No... non si tratta di quello. Abbiamo un problema - mi rispose Den.
Mi alzai a sedere in un istante. - Quale problema? - chiesi. Avevo la sensazione che i brutti presentimenti provati la sera prima si stessero concretizzando.
- Warren non si è fatto vivo stamattina. - Il tono della voce di Den era basso e pieno di preoccupazione.
- Starà ancora seguendo la stronza, no? - chiesi. Avevo i sudori freddi, ero terrorizzata.
- No, lui avvisa sempre Alan al mattino, è una sua abitudine per stimolarlo ad alzarsi. Non ha mai saltato un solo giorno - spiegò.
- Mi hai convinto, arrivo subito. Voi intanto cercate di rintracciarlo in qualche modo - cercai di contenere l'agitazione che provavo.
- Okay - mi rispose il ragazzo poco convinto e riattaccò.
Io mi vestii il più in fretta che potevo, uscii di casa e raggiunsi la base dei Cani da Guardia ma le loro espressioni erano eloquenti: pensavano che Warren fosse morto.


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mercoledì 13 dicembre 2017

[Spinoff] Episodio 15




Gli agenti mi portarono in centrale, mi misero in sala interrogatori ammanettata, una stanza quasi del tutto spoglia tranne che per un tavolo in acciaio, quattro sedie, una telecamera su un treppiedi e un enorme specchio a parete.
Restai a guardare il mio riflesso per molte ore, finché alla quarta quello che sembrava un detective aprì la porta, in mano portava una cartella e un sacchetto per le prove. Appoggiò il materiale davanti a me e accese la telecamera, poi aprì la cartella e cominciò a sfogliare i documenti al suo interno.
- Cognome, nome e data di nascita - esordì l'uomo indicando con un cenno la telecamera.
- Monroe, Marilyn, 1 giugno 1926 - gli sorrisi.
L'uomo alzò lo sguardo per la prima volta. - Questo non è uno scherzo, li riconosci? - mi fece e cominciò a farmi vedere le foto della scena del crimine, in particolare i tipi che avevo ucciso.
Io gli feci spallucce, non mi dicevano nulla, nonostante fossi io ad averli ridotti in quel modo.
Lui sbuffò contrariato. - Allora? Nessun rimorso? Nessuna reazione? - mi chiese.
- Dovrei? - chiesi di rimando senza battere ciglio.
- Hai ucciso sette persone a sangue freddo. Sei un sicario della mafia cinese? Italiana?Hai usato queste giusto? - mi chiese tirando fuori le mie pistole dal sacchetto, ma io feci sempre di no con la testa. - Spiegami il perché, allora?
Mi guardai attorno e mi grattai la testa, ero stanca di stare seduta li dentro. - La solita merda: spaccio di droga, contrabbandando di schiavi, prostituzione, tortura, omicidio. - risposi.
- Di cosa stai parlando? - continuò l'uomo turbato.
Mi misi a ridere. - Davvero non lo sai? Quel posto era il centro del traffico di droga e prostituzione della città. In più era anche un luogo di tortura di ragazze immigrate. Il bordello dei sadici. - confessai. Dire la verità poteva aiutare a far smuovere le acque, valeva la pena tentare.
- Potevi chiamare la polizia, avremo indagato - sbottò quasi arrabbiato.
Capivo il suo punto di vista ma scoppiai comunque a ridere. - Ma non prendermi per il culo, detective Holler! La gente che dovrebbe mettere in gabbia questi individui è la stessa che li paga per certi servizi personali.
- E chi sarebbero queste persone? - L'uomo sembrava incuriosito.
- Sindaci, giudici, procuratori, vigili del fuoco... poliziotti. La lista è molto lunga - risposi.
L'uomo rimase stizzito, era come se si chiedesse se fosse tutto vero. Lo capivo, era dura da mandare giù, comunque meglio dell'altra verità sulle streghe.
Si sporse in avanti, raccolse tutto tranne le fotografie e mi disse: - Bene, faremo dei controlli. Non ti muovere.
- Happy birthday, my Presindent... - canticchiai mentre raccoglieva tutto. - E dove dovrei andare? - gli risposi mostrandogli le manette.
Le foto sul tavolo servivano a farmi provare il classico senso di colpa per ciò che avevo fatto. Mossa inutile, visto che non provavo nulla per quei maiali. Il mio problema era come avrei fatto a fuggire senza uccidere nessuno: non tutti i poliziotti erano corrotti.
Un quarto d'ora dopo la porta si aprì ed entrò un altro poliziotto. Lo guardai meglio e lo riconobbi subito: era lo stesso della camera insonorizzata, ma senza sangue sul viso.
- Quindi lavori qui, eh? - gli chiesi beffarda.
Lui chiuse la porta dietro di se, si avvicinò e senza preavviso mi prese la nuca e mi fece sbattere la faccia sul tavolo. - Non devi dire un cazzo. Hai capito, puttana? - mi ordinò.
Sorrisi, era la mia occasione d'oro e fruttai la vicinanza dell'uomo per rubargli una penna dalla tasca, lui non si accorse di nulla. - Hai paura che ti scoprano? Ti vergogni, poverino. Piccolo sadico che non sei altro - lo sbeffeggiai.
Lui preso dall'ira mi fece sbattere di nuovo la faccia sul tavolo, stavolta il dolore era lancinante ma nonostante tutto non smisi di ridere. Quel dolore fisico era nulla in confronto al dolore che provavo nel cuore.
- Pensi sia un gioco? Che esiterei a ucciderti solo perché sei in una stazione di polizia? Tu non sai chi sono io, ma io so chi sei tu. Se solo una povera puttana, e sai cosa succede alle puttane disobbedienti? Muoiono - mi fece l'uomo.
Io risi ancora più forte, la minaccia non aveva avuto alcun effetto con me. - Hai ragione, io non so chi sei e, sinceramente, non me ne frega un cazzo. Mai i miei amici a quest'ora di certo lo sapranno.
- Amici? Quali amici? - chiese allentando la presa. - Rispondi, stupida troia! - sbraitò.
Poi fece per colpirmi con un pugno quando il suo cellulare cominciò a squillare. Lui mi guardò perplesso ma io gli sorrisi e fece spallucce.
L'uomo prese con cautela il cellulare dalla tasca e rispose. - Pronto... come? Ma chi cazzo...? - fece una faccia stranita e me lo passò.
Anch'io ero stupita della cosa. - Pronto? - chiesi.
- Ciao, sei nella cacca, a quanto vedo. Tranquilla, ci penso io. Metti in vivavoce per cortesia - Era la voce di Alan. Per un attimo mi rilassai e lo ringraziai mentalmente, se avessi agito di testa mia qualcuno sarebbe stato sicuramente ferito o ucciso. Misi l'apparecchio sul tavolo e accesi il vivavoce. - Puoi parlare - dissi.
- Grazie. Signor detective, le consiglio caldamente di lasciar andare la mia collega - disse Alan.
L'uomo rise nervoso. - E perché dovrei farlo? Dovrei obbedire ai capricci di uno stupido ragazzino invaghito della troia asiatica di turno?
<< Assolutamente no, signor detective. Ma se non lo fa, io schiaccerò un tasto sulla mia tastiera e tutti i suoi colleghi riceveranno, nei loro cellulari, un interessante video di lei che tortura un certo numero di giovani ragazze - spiegò con calcolata freddezza Alan. Un po' mi fece paura ed ero felice che fosse dalla mia parte.
- Che cazzo dici? Non ci sono riprese di quei momenti. Non c'erano nemmeno telecamere nelle stanze, tenta di nuovo sbarbatello - sbraitò il detective.
- In genere avrebbe ragione. Il signor Matter aveva gentilmente installato delle telecamere di sicurezza invisibili ad un occhio poco attento. Il mio problema era che il complesso era scollegato da internet e di conseguenza inviolabile per i miei mezzi. Ma se qualcuno inserisse fisicamente una connessione internet, la cosa sarebbe più che fattibile - continuò a spiegare Alan.
L'uomo mi guardò cominciando a sudare dalle tempie arrossate dalla rabbia. - Figlio di puttana!
- Mia madre non è una meretrice, signor Vertans, e le consiglio di moderare i termini, grazie. Per questa volta passerò sopra solo perché ha capito la situazione. Allora, acconsentirà alla mia richiesta? - chiese il ragazzo.
- Fottiti, stupido idiota! - sbraitò tirando pugni sul tavolo.
- Come vuole. Non dica che non l'ho avvertita, signor detective. - disse Alan e subito dopo riagganciò.
Pochi secondi dopo arrivò un messaggio di notifica sul cellulare dell'uomo che timoroso selezionò: era il video che Alan aveva descritto, due minuti e trentasette secondi di clip che lo inchiodavano.
Dopo altri trenta secondi la porta si aprì per l'ennesima volta e fu il detective Holler ad entrare. Era stupito nel vedermi con la faccia ricoperta di sangue. - Che stai facendo, Vertans?
- Io... stavo... - cercò di rispondere l'uomo.
- Sai che ti dico? Non m'importa. Esci, sei accusato di stupro, tortura e omicidio - continuò Holler. Poi altri due agenti entrarono, lo ammanettarono e lo trascinarono fuori dalla stanza.
Mi pulii il viso mentre richiudevano la porta. Ero di nuovo sola.
Finalmente, esultai mentre smontavo la penna e usavo l'asticella per aprire le manette.
Uscii dalla stanza e cercai la scrivania di Holler dove trovai la fusta con dentro le mie pistole, la presi e con tutta calma uscii dalla centrale. Una volta fuori un ragazzo con cappuccio e maschera mi venne incontro in sella alla mia moto.
- Hai rubato la mia piccolina dal deposito? - chiesi a Warren.
Lui mi porse il casco. - Farei di tutto per essere notato da te, cherie - mi rispose.
Montai in sella e lo strinsi alla vita. - Ci sei riuscito in grande stile, Warren - e appoggiai delicatamente la testa sulla sua schiena mentre partiva per riportarmi a casa.
Quel giorno mi resi che non potevo fare tutto da sola, che avrei avrei evitato inutili spargimenti di sangue se avessi collaborato con i Cani da Guardia e che ero spaventata da me stessa.



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mercoledì 6 dicembre 2017

[Spinoff] Episodio 14



 Aspettai seduta sul divanetto con la pistola nascosta dietro la schiena, dovevo rimanere completamente sola con lui per il mio personale interrogatorio.
Quando Matter entrò nella stanza, come previsto, chiuse la porta dietro di se e mi diede un'occhiata veloce. - Sei ancora meglio di quello che speravo, ho già il cazzo duro. - Sorrise.
Poi si diresse verso un armadietto, aprì la portiera rivelando un piccolo mimi bar e prese una bottiglia di whisky. Aprì il mobiletto sopra il primo e prese un bicchiere, andò alla scrivania e aprì il liquore.
- Allora, tu fai amore lungo, lungo? - cominciò a ridere mentre si versava un po' di whisky nel bicchiere.
- Full Metal Jacket? Davvero? Non avevi una battuta migliore? - gli chiesi tirando fuori la pistola e puntandogliela contro.
Lui all'inizio non si era accorto di nulla poi però girò la testa perplesso. - Ma tu non avevi un accento...? - E si bloccò.
- No, non faccio amore lungo, lungo e no, non ho un accento cinese - gli risposi con un sorriso sardonico.
Matter fece un'espressione eccitata. - E vuoi spararmi con una pistola finta?
Io presi la mira e sparai al bicchiere, che l'uomo teneva in mano, e andò in un istante in frantumi. - E... no, non è finta. - Sorrisi.
Lui restò a bocca aperta e alzò le mani in segno di resa. - Sei della mafia? Fai parte di quei macellai della compagnia? Oppure quei strani tipi incappucciati che girano ultimamente?
A ogni domanda feci di no con la testa e quando finì gli chiesi: - Perché usi quelle povere ragazze come carne da macello?
Matter si mise a ridere nervoso. - Chiedi il perché? Ma chi ti credi di essere, il giustiziere della città?
- Se serve a fare un po' di pulizia, perché no? - gli risposi.
- E cosa farai, andrai in giro in calzamaglia e mantello? - continuò a ridere lui.
Stava cominciando a darmi sui nervi quindi decisi di diventare più seria. - Rispondi alla domanda o ti faccio saltare il cervello - gli intimai. Lo avrei fatto comunque ma lui non lo sapeva.
L'espressione dell'uomo cambiò ancora diventando più serio anche lui. - Era destino. Da giovane ero così timido che nessuno mi cagava. Non avevo amici ed ero considerato quello strano da tutti. Le ragazze a scuola mi prendevano per il culo o mi picchiavano: l'unico segno d'affetto che mi meritavo, dicevano. A casa non andava meglio, mia madre mi bastonava a sangue ogni giorno e a mio padre non fregava un cazzo. - Abbassò le mani e si appoggiò alla scrivania.
- Solo questo? Molti ragazzi hanno avuto la stessa esperienza ma non vanno a massacrare ragazzine impaurite - gli dissi con disprezzo.
- Certo che no. Quello era solo l'inizio, diventando più grande le cose erano peggiorate. Le compagne che ero riuscito a conquistare dopo un po' mi lasciavano per colpa dei miei problemi infantili: no erezione, no party. Sai quant'è difficile evitare di pensare agli abusi che ho ricevuto? Ma che ne sai... Comunque, un giorno una donna di nome Melinda Rodes mi offrì la possibilità di amministrare il traffico di immigrati e la prostituzione. Feci i salti di gioia perché potevo finalmente vendicarmi di tutte quelle troiette che mi avevano reso la vita impossibile. Potevo torturarle, fare loro quello che mi interessava e, se poi mi stancavo, eliminare il problema. Il fatto che mi eccitava straziare i loro corpi era solo un optional. Contenta adesso? - mi chiese infine.
Rimasi ad ascoltare tutto e capii che era uno psicopatico omicida con il potere e i mezzi per farlo, ma restai impassibile per quanto potessi resistere. - E della compagnia che cosa sai? - gli chiesi.
- Il loro capo è quella troia dai capelli corti, Melinda Rodes. Quella vacchetta sempre assieme a dei tipi incappucciati come i membri di una setta satanica vecchio stile, e sono pericolosi. Non si fanno problemi ad ammazzare la gente, un po' li ammiro, vorrei avere quello stile. Poi ci sono quei tre tipi strambi e sono anche peggio di quelli incappucciati, ho sentito che uno di loro è l'artefice del Massacro Della Città Dei Morti. I loro agganci sono ovunque nella città e nel mondo, che cosa potrebbe fare una puttanella come te per fermarli? - e si mise ancora a ridere.
Sospirai, mi aveva detto tutto spinto dalla paura e dall'ego, il piano aveva funzionato meglio del previsto anche grazie a una buona dose di fortuna. Chi l'avrebbe mai detto che Shon Matter fosse, oltre a un maniaco omicida, anche un grandissimo idiota, ironizzai nella mia testa.
- Grazie! - gli dissi. Poi premetti il grilletto. La materia grigia e il sangue schizzarono sugli scaffali e il corpo cadde a terra.
Andai al computer e presi la chiavetta, che fortunatamente non si era sporcata, e uscii dall'ufficio. Subito notai tre degli uomini di Matter che trascinavano alcune ragazze terrorizzate nei camerini.
Io estrassi la seconda pistola e la puntai verso i tre uomini. Sparai in contemporanea ma udii solo uno sparo, due uomini furono colpiti in al petto e alla schiena e caddero a terra morti. Il terzo lo colpii alla spalla con un secondo tentativo e provò a fuggire in un corridoio laterale.
Improvvisamente, le ragazze e gli attori cominciarono a correre verso l'uscita urlando in preda al panico. Capii di aver fatto un errore ad usare la pistola senza silenziatore. - Merda! - imprecai.
Corsi in mezzo al set della cantina degli orrori dove c'era una ragazza stesa su un tavolo coperta di sangue e ferita gravemente, accanto a lei un uomo di mezza età con un passamontagna e un arnese che non riuscii ad identificare. Puntai la pistola e gli feci saltare la testa.
Uscii dal set e vidi passarmi accanto l'uomo ferito, presi la mira e premetti il grilletto. L'uomo cadde a terra in una pozza di sangue.
Proseguii fino al secondo incrocio e girai a destra per raggiungere la stanza insonorizzata chiusa ma fui fermata per la spalla da uno dei buttafuori.
- Cosa credi di fare? - mi fece.
Con uno scatto, afferrai la mano dell'uomo, la torsi e gli feci una proiezione buttandolo a terra. Puntai l'arma verso il secondo buttafuori e sparai colpendolo in pieno, poi appoggiai la canna sulla testa del primo e lo uccisi.
In quel momento un uomo uscì dalla stanza che volevo raggiungere e mi puntò la pistola contro. Dalla posa che aveva e dal modo di impugnare l'arma capii che era ben addestrato.
- Ferma, sei in arresto, stronza. - mi fece mentre alcune sirene della polizia, che in precedenza non avevo sentito, si avvicinavano.
Calcolai i tempi di reazione della polizia, erano stati troppo veloci. Poi ricordai che Matter aveva abbassato le mani e le aveva appoggiate alla scrivania. Un allarme, figlio di puttana!, imprecai mentalmente.
Provai a fare un passo verso l'uomo, se era lì dentro significava era un poliziotto corrotto e se avessi fatto in fretta ad eliminarlo, forse sarei riuscita a scappare in tempo. Purtroppo il poliziotto si mise in copertura dietro all'intelaiatura della porta impedendomi di colpirlo.
Quando arrivarono gli altri poliziotti misi a terra le armi, mi misi in ginocchio e intrecciai le mani sulla testa.
Per tutto il tempo, anche mentre mi arrestavano, continuai a fissare il poliziotto corrotto che nella confusione ne approfittò per scappare da una porta sul retro.  


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