Sgusciai fuori dal mio nascondiglio e continuai a vagare
cercando di trovare qualcuno ce potesse aiutarmi o almeno qualcuno
che non tentasse di mangiarmi il cervello.
Mi
infilai in una stradina notando una figura attraverso una finestra
accesa di una casa. Scesi delle scale diroccate e pericolanti
avvicinandomi all'abitazione.
Andai
alla porta e provai a bussare. - C'è qualcuno? Se ci siete, per
favore, aprite - implorai esausta.
Dopo
qualche minuto di tentativi una strana voce dal suono distante mi
rispose: - Vattene!
Esultai
nel sentire che parlava la mia lingua. - Ti prego, non so dove andare
e sono così stanca.
-
Mi dispiace, non posso aprire - mi rispose la voce.
-
Allora dimmi chi può, ci sarà qualcuno che mi possa aiutare? -
chiesi.
-
Nessuno può. - rispose la voce con uno strano tono rassegnato.
-
In che senso “nessuno può”? - Ero davvero stanca e nervosa,
l'ultima cosa che volevo sentire erano gli indovinelli.
-
Samath è morta. Ghet'haran è morto. Il Maestro comanda ciò che
rimane. Ma cos'è rimasto se non un'illusione? - continuò a delirare
la voce.
-
Samath? Ghet'haren? E chi è questo Maestro? - cercai di chiederle.
-
Come? - chiese la voce.
-
Non capisco di cosa stai parlando, mi sono ritrovata in questo posto
dopo essere caduta in una specie di portale. Io voglio solo tornare a
casa mia, puoi darmi una mano? - cercai di spiegare.
Per
qualche istante la voce esitò a rispondere. - Tu non sei di Samat,
dunque?
-
Se solo sapessi che cos'è Samat - feci ormai stanca di quei giri di
parole.
-
Samat è la città in cui ti trovi. Tu sei viva, vero? - chiese
ancora la voce.
-
Non per molto se non mi darai una mano - Mi appoggiai alla porta,
stavo perdendo forze e speranza.
-
Oh, che meraviglioso miracolo. Forse tu potrai aiutarci - disse la
voce.
-
Aiutar...? Ehi, sono io quella che ha bisogno di aiuto - replicai.
Era incredibile, stava rigirando il discorso in suo favore, in più
non riuscivo a capire se stesse mentendo oppure no.
-
Se aiuti noi aiuterai te stessa - commentò la voce.
-
Comodo visto che da quello che ho capito dovrò fare io tutto il
stramaledetto lavoro - sbottai calciando una ringhiera arrugginita
che finì a terra con un rumore metallico.
-
È l'unico modo per poterci liberare - continuò.
Era
un azzardo, non conoscevo la persona che mi stava parlando e il fatto
che il suono che quella voce aveva fosse inquietante non aiutava per
niente, ma era la mia unica possibilità.
-
D'accordo! - sussurrai.
-
Sì? - chiese conferma la voce.
-
Ho detto che vi aiuterò - urlai scocciata.
-
Ti ringrazio - fece la voce commossa. - Vedi quel riverbero rosso
attorno alla luna? Quella è una barriera che ci tiene intrappolati
qui. Se riesci a distruggerla noi potremmo finalmente essere...
liberi.
-
E io potrei tornare a casa? - chiesi.
-
Forse - rispose pragmatica la voce.
-
Cazzo, non è molto su cui lavorare e le aspettative sono davvero
pessime. Per non parlare del fatto che con quel “forse” non sei
per niente convincente - gli dissi scoraggiata.
-
A Samat ci sono pochissime cose per la quale gioire - commentò
ancora la voce.
-
Lo vedo. D'accordo, se ne avrò la possibilità cercherò di
aiutarvi. - risposi.
-
Ti ringrazio a nome di tutti. Che lo spirito di Ghet'heren ti guidi -
disse la voce. Pi la luce si spense e tornò il silenzio tetro della
città fantasma.
-
No, no, no. Non andartene, cazzo! - urlai colpendo la porta con tutta
la forza che possedevo. Cercai seriamente di abbattere l'entrata
dell'abitazione ma non ci riuscii, era come se fosse inamovibile.
Provai con una finestra ma sortì lo stesso risultato della porta.
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