Con molta difficoltà, portai Warren nella mia stanza del motel e lo
feci sdraiare sul letto. Presi il kit di pronto soccorso e cominciai
a ricucire le ferite più profonde, lui non sentii nulla, era svenuto
ore prima. Sfogliai il grimorio dello zio Mei e cercai tutte le
ricette di impasti e intrugli che potessero aiutarlo a riprendersi il
più in fretta possibile.
Una volta finito chiamai Amita e la informai della situazione. -
Capisco, meno male. Se trovo quel bastardo che lo ha ridotto in quel
modo, giuro che lo ammazzo - sbraitò.
- Resteremo qui finché non si rimetterà abbastanza da viaggiare.
Per il responsabile... ci penseremo a tempo debito - le dissi.
- Stanne certa, lo farò fuori quel figlio di puttana! - continuò
lei.
- Okay, devo attaccare, ora. Devo preparare un ricostituente per
Warren... - cercai di tagliare corto con una mezza verità, sperando
non se ne accorgesse.
- Sì, scusami... è la stanchezza. Anche noi abbiamo da fare qui. Ci
vediamo il prima possibile - mi salutò.
- Certo, contaci. - Sorrisi.
Speravo di averla calmata anche se non ci credevo molto, non ero per
niente brava in questo genere di cose. Ero molto più brava a far
irritare la gente, come Evaline.
Continuai a curare Warren anche nei giorni successivi, riuscii anche
a recuperare degli antibiotici e degli antidolorifici. Per una intera
giornata gli venne la febbre dove delirando e nominando in
continuazione il padre.
Forse è stato suo padre a provocargli quella cicatrice,
pensai mentre gli bagnavo il viso per abbassargli la temperatura. Dal
comportamento che aveva Warren sembrava terrorizzato dal suo vecchio.
Il terzo giorno mi sentii toccare il ginocchio, aprii gli occhi e con
uno scatto sfoderai la pistola e la puntai verso il letto. Quando
vidi Warren con le mani alzate e con gli occhi sbarrati, mi pentii di
aver acquisito quel riflesso incondizionato.
Rilassai le spalle e rinfoderai l'arma. - Non farlo più, potevo
ucciderti.
- Sarebbe il colmo, dopo tutto il lavoro che hai fatto per
ricucirmi... - provò a scherzare, ma il suo volto era triste o
deluso, non riuscivo a decifrarlo bene.
- Sì, divertente. - Riuscii a dire solo quello, poi calò il
silenzio.
Dopo una trentina di secondi Worren disse: - Mi dispiace, ho fatto un
casino.
- Tranquillo, ho sistemato tutto - cercai di rassicurarlo.
Lui sbuffò e si mise in piedi senza dire una parola. Cercò di
raggiungere la porta del bagno appoggiandosi su ogni appiglio
possibile.
Mi passò accanto senza guardarmi. - Che cosa stai facendo? - gli
chiesi.
- Dalla data sul cellulare, è da giorni che non vado di corpo, vuoi
farmi da balia anche qui dentro? - sembrava arrabbiato per qualcosa,
ma non capivo cosa.
- Non capis... - provai a dire ma lui chiuse la porta dietro di se
prima che potessi finire.
Aspettai pazientemente che uscisse seduta sulla sedia accanto al
letto, si era fatto anche la doccia e, quando uscì, aveva un aspetto
migliore di quando era entrato.
- Va meglio? - chiesi.
- Non lo so. - Faceva ancora fatica a guardarmi per qualche motivo.
Sospirai e mi alzai alla sedia. - Okay, hai fatto un casino ma grazie
a questo ho scoperto che... provai ad ammettere.
- No, non hai capito nulla! - mi urlò gettando con veemenza la
maglia sporca di sangue secco dentro la borsa che avevo usato per
portare i vestiti nuovi che avevo comprato.
- Allora aiutami a capire - gli proposi con calma.
- Quel bastardo che mi ha torturato mi ha anche strappato via la
dignità - diede uno sguardo veloce alla sua maschera appoggiata sul
tavolo. - Speravo di morire, ero pronto per lasciarmi tutta la merda
che ho dentro al petto e andarmene da questo mondo del cazzo. Poi sei
arriva tu, mi hai salvato e guarito, mi hai visto in faccia. Speravo
non accadesse, spero sempre che non accada mai con nessuno. - rispose
con un nodo alla gola.
- E perché non dovevo vederti in volto? - chiesi confusa.
Lui si girò di scatto verso di me. - Ma sei cieca? Questa è la
ragione, perché sono un mostro - mi urlò.
In quel momento capii cosa succedeva nella sua mente. Qualcuno gli
aveva inculcato quel modo di pensare e per nascondersi e sembrare
normale a tutti si metteva la maschera. Anch'io indossavo una
maschera per non far vedere agli altri quanto fossi contorta dal
dolore.
- Tu saresti un mostro? E da dove arriva questa stronzata? - gli
chiesi sorridendo. Per me era un gran bel ragazzo invece.
- Mio padre me lo diceva sempre, soprattutto da drogato. Un giorno
era più fatto del normale e mi picchiò con la mazza da baseball
finché non si ruppe. Lui si infuriò ancora di più con me e
continuò a picchiarmi col manico. Quando finì ero una maschera di
sangue e questa. “Ti ho reso un vero mostro!” mi derideva ogni
volta che mi guardava - mi raccontò.
- Warren... - provai ad avvicinarmi, pensavo che un abbraccio gli
potesse essere d'aiuto, invece lui si spostò per evitarmi.
- Ecco, vedi? Adesso provi pietà, te lo leggo negli occhi. Non
riesco a sopportare quello sguardo nelle persone, è troppo pesante -
mi fece.
- Pietà? Per cosa? Per un evento tragico che ti è successo da
piccolo? Credi davvero di essere un mostro solo per una stupida
cicatrice? No, Warren, i veri mostri sono altri - alzai la voce.
- Le solite frasi fatte, Kaileena, sai quante volte le ho sentite? -
sbottò lui.
- Ah, sì? Eccone una nuova allora: io sono un mostro! Io ammazzo
gente con la facilità di bere un bicchiere d'acqua. Quando pianto
una pallottola in testa a qualcuno o gli spezzo il collo a mani nude,
io non sento nulla, Warren, nulla - sbraitai.
- Tu non puoi capire. La gente che ti fissa ogni volta che incroci lo
sguardo... è per questo che indosso la maschera - urlò anche lui.
- Invece capisco benissimo. Da quando mio zio è morto provo una
rabbia incontenibile. La mia anima è logorata dalla vendetta e dalla
solitudine perché so che se non vado fino in fondo a questa storia
non potrò tornare dalle persone che amo. E per fare questo sono
arrivata a coinvolgere anche te, Amita, Den e Alan, pensi che non
provi vergogna per questo? - gli confessai con un nodo alla gola.
Era vero, potevo fare fuori decine di persone che consideravo nemiche
e non provare niente, ma mi sentivo tremendamente in colpa per
chiunque potesse essere preso in mezzo al fuoco incrociato.
- Non lo so. Ho solo bisogno di aria... - tagliò corto e uscì dalla
camera.
Io mi misi la mano sul petto, facevo fatica a respirare. Ancora ero
restia ad accettare certi sentimenti verso altre persone perché lo
ritenevo una distrazione verso il mio obbiettivo. Il problema era che
reagivo così da quando ero una ragazzina, l'amore era una
distrazione. Questa era la ragione per la quale non ho mai avuto
relazioni serie o durature. Reprimevo tutto per poter lavorare
meglio.
Rimasi in piedi davanti alla porta per qualche minuto impietrita, poi
la maniglia si abbassò e si aprì. Sobbalzai di felicità quando
vidi la cicatrice di Warren fare capolino.
Warren entrò nella stanza, chiuse la porta, si girò e si fiondò
verso di me dicendo: - Ma che sto facendo? - Mi strinse delicatamente
i capelli e mi baciò.
Io avvolsi le braccia attorno al suo collo e ricambiai il bacio. Mi
piaceva sentirmi stringere da lui mentre mi spingeva piano piano
verso il letto, io però lo fermai: se dovevo farlo, e volevo farlo,
dovevo sfruttare quella occasione nel migliore dei modi.
- Che cosa c'è? - mi chiese preoccupato.
- Niente. Prendi la cintura dell'accappatoio in bagno - gli sorrisi.
Lui inizialmente non capì, poi mi sorrise e zoppicando andò a
prendere quanto richiesto. Delicatamente ci togliemmo i vestiti
continuando a baciarci e coccolarci, poi Warren mi legò le mani alla
testiera del letto. Infine, eccitato, cominciò a stimolare clitoride
e capezzoli. Per un po' era piacevole ma quando era sul punto di
penetrarmi io lo fermai con le cosce.
- No, fermo. Non così - gli feci. Lui confuso si alzo da me e lasciò
lo spazio per potermi girare a pancia in giù in una posizione tale
che potesse essere più agevole.
- Sei sicura? - mi chiese con un po' di timore.
- Sì, sicurissima. - Sorrisi.
Warren mi stimolò con le dita e poi entrò con delicatezza. Il modo
che aveva era impacciato e si capiva che entrambi non eravamo
abituati a certe posizioni ma era comunque efficace. Avevo una voglia
assurda di toccarlo con le mani ma mi era impossibile e la cosa era
più eccitante. Warren, preso dalla foga, mi tirò delicatamente i
capelli in modo da farmi alzare la testa. Quell'atto mi fece
sbloccare del tutto dalle inibizioni e cominciai ad urlare e gemere
di piacere come mai prima di allora.
Quello che mi stupì, invece, era la sensazione di pace e
tranquillità che mi dava l'essere legata, sopraffatta da un'altra
persona e il dolore piacevole che mi procurava quella posa inusuale.
Quando arrivai all'orgasmo fu come se per un attimo non ci fosse più
nulla. Niente rabbia, niente vendetta, niente odio. Solo il semplice
vuoto della mente. Quando anche Warren finì, mi lasciò andare i
capelli e la mia testa sprofondò nei cuscini. Avevo il fiato corto e
mi girava lievemente la testa, ma stavo bene.
Dopo qualche minuto mi girai verso il ragazzo che mi aveva aiutata a
trovare un attimo di pace in quel continuo turbinio di violenza e
morte e gli sorrisi.
- Grazie - gli dissi con la voce spezzata.
- Kaileena, stai piangendo. Ti ho fatto male? Sono stato troppo
impulsivo? - mi chiese mentre mi slegava i polsi. - Guarda quanti
segni.
Mi osservai i polsi, erano pieni di escoriazioni, colpa dei miei
tentativi involontari di slegarmi. - No, tranquillo. Non è colpa
tua, sono io che ti ho chiesto di fare così.
- Ma... - provò a replicare.
- Sto bene. Grazie Warren! - e lo abbracciai baciandolo.
Lui non replicò. Non c'era nulla da dire, entrambi eravamo mostri di
noi stessi e in quel momento stavamo bene l'uno con la compagnia
dell'altra.
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