Aprii lentamente la porta, la stanza era buia e le finestre erano chiuse. Dalla vasca della doccia udii una litania che mi fece venire i brividi. - Posso farcela. Posso farcela. Posso farcela. - Era Valentine, rannicchiata con la testa appoggiata alle ginocchia.
Mi avvicinai. - Puoi fare che cosa? - le chiesi cercando di tenere un
tono della voce dolce, non volevo spaventarla e rischiare che si
chiudesse in se stessa. Smise di parlare restando nella sua
posizione.
Quando accesi la luce lei alzò lo sguardo e mi fissò sbiancando in
volto. Dopo qualche secondo cercò di ricomporsi e di alzarsi, io
però la bloccai facendole di no con la testa e mi sedetti accanto a
lei.
- Allora? - continuai a chiederle col sorriso.
- Io... ho paura... - provò a dirmi. Stava tremando.
Le misi una mano sul ginocchio per calmarla. - E di cosa? - le chiesi
gentilmente.
- Di non essere accettata. Di non essere d'aiuto al gruppo. Di non
riuscire a trovare un modo per espiare le mie colpe. Credimi, so
benissimo che ho commesso delle azioni tremende nei tuoi e nei
confronti degli altri. Me ne vergogno ogni istante di ogni giorno...
- Aveva la voce rotta e dagli occhi cominciarono a scendere lacrime.
- Ho paura di non ricevere... il tuo perdono... - E scoppiò a
piangere, un pianto diverso da quelli che le avevo visto l'anno
prima.
Non avevo mai pensato che il peso di quelle azioni per lei fosse così
opprimente da crearle un crollo nervoso.
Le porsi la mano che avevo appoggiato sul ginocchio e lei la strinse alla fronte. - Fa con calma, hai tutto il tempo che
vuoi. - le sussurrai. Scostai lo sguardo, non mi sembrava giusto
guardarla in quel momento di debolezza. Sapevo benissimo che
Valentine era disposta a tutto per me, ma io non volevo arrivasse a
tanto.
Dopo una decina di minuti rialzò lo sguardo e prese un profondo
respiro per calmarsi. - Scusa, non avrei dovuto. - Si asciugò le
lacrime con il palmo della mano e mi fece un sorriso abbozzato.
Quel sorriso mi colpì al petto, ripensai all'immagine del suo viso
contratto e le lacrime di sangue che le scendevano dagli occhi. Un
brivido mi percorse la spina dorsale e l'abbracciai d'istinto Non
voglio che sacrifichi di nuovo la sua vita, non riuscirei a
sopportarlo, urlai nella mia testa. In quel momento capii che, al
di là delle sue azioni, le volevo bene, come per Kaileena, Francis,
e Jolene.
Mi staccai da lei e la guardai negli occhi. - Hai troppe paure. Fa
solo ciò che ritieni giusto, questa è la nostra regola. Per quanto
riguarda le tue colpe e i tuoi crimini, non devi essere tu a
scegliere la punizione, ma io. - Le scostai una ciocca di capelli da
viso. - Se non ci fossi stata tu i questi mesi non so come sarei
riuscita ad andare avanti. Grazie. - ammisi. Era vero, ero sempre
stato distaccato e freddo verso tutti loro. Era un meccanismo
involontario del mio carattere... anche con Tiffany.
Lei mi fissò incredula. - Evaline... - sussurrò, poi prese un altro
respiro. - Giuro sulla mia vita di essere all'altezza delle tue
aspettative, mia sacerdotessa. -
- E questo che sarebbe? - ridacchiai.
- La mia iniziazione a questa congrega. - rispose con espressione
risoluta, determinata.
Le presi le mani tra le mie. - Io... non posso accettare la tua
iniziazione, non sarebbe giusto legarti a me in questo modo. Devi
essere tu a trovare un modo per avere il tuo posto nel gruppo. - le
dissi. Lei sbiancò in volto e abbassò il sguardo sconsolata. - Ma
posso accettare i tuo giuramento come tua amica. - conclusi
accarezzandole i capelli.
Valentine alzò di scatto lo sguardo, era raggiante come non l'avevo
mai vista prima, e mi abbracciò con veemenza. Per un attimo provai
imbarazzo, mi tornò in mente la sensazione di benessere che avevo
provato il giorno che l'avevo conosciuta, il giorno che me ne ero
infatuato. Il suo profumo e la sensazione di morbidezza del suo corpo
attaccato al mio, era eccitante.
In quel momento Valentine cominciò ad ansimare - Evaline... - mi
sussurrò all'orecchio.
Per un istante desiderai di assecondarla, poi l'immagine di Tiffany
mi risvegliò da quel sogno. Mi scostai lentamente da lei
riportandola alla realtà. - Amica, ho detto. - le ribadii.
Lei sembrava imbarazzata. - Scusa, non volevo... - biascicò
mettendosi una mano sulla bocca.
Sospirai, era solo un momento di debolezza da parte di entrambi. - Va
tutto bene. Non è successo niente, tranquilla. - sorrisi. Lei si
calmò. - Adesso, però, potresti uscire? - le chiesi. Lei rimase
attonita a quella richiesta. - Devo farmi la doccia, ho sudato molto
stanotte e puzzo come una capra. - le spiegai alzandomi e aiutandola
a mia volta a tirarsi in piedi. - Ma... - provò a replicare ma io la
spinsi verso l'uscita. - Niente ma. Sciò, fuori. Fuori. E tieni
d'occhio quei due per piacere. Non vorrei che si montassero la
testa. - enfatizzai per farle capire il senso della frase.
- Sì, mia sacerdotessa! - mi sorrise lei.
- Grazie, Valentine! - le feci l'occhiolino.
Chiusi la porta, mi girai e mi ci appoggiai con la schiena. Che
fatica!, sbottai. Presi un profondo respiro e cominciai a
spogliarmi. Aprii l'acqua, mi lavai e mi vestii con gli abiti puliti.
Asciugai i capelli e li tirai su a formare una coda mossa. C'avevo
messo mezz'ora per prepararmi.
Mi guardai allo specchio. Cosa ne pensi?, chiesi a Evaline.
Meravigliosa, commentò lei con un briciolo di malizia.
Sì, lo penso anch'io, le sorrisi.
In realtà era un nostro modo per allentare la tensione e
l'impazienza che impazziva nel petto.
Quando uscii dal bagno, vidi Valentine, Francis e Jolene dietro allo
schermo del portatile.
- Che c'è? - chiesi.
- Forse sapiamo dove sono nascosti quei figli di puttana. - rispose
Jolene.
Presi il telefono e mi gettai sul divano - Oh, sì, lo so . Si
trovano al Charity Hospital. - controllai la rubrica.
- Allora andiamo a prenderci Thessa. - propose Valentine.
Notai delle brioche sul tavolino e ne presi una. - Non se ne parla
neanche. Prima dobbiamo fare alcune cose e aspettare il momento
giusto. - E morsi il dolce.
Tutti e tre si guardarono straniti ma io feci finta di niente e
continuai la mia colazione. Poi telefonai a Kaileena.
- Pronto... - mi fece una voce svogliata e assonnata.
Sentire la sua voce mi fece venire un colpo al cuore, l'avevo vista
morire brutalmente poche ore prima e quella sensazione di impotenza
non era ancora sparita.
- Ciao Kaily. - le risposi cercando di rimanere calmo.
- Evaline? Hai bisogno del mio aiuto? - mi chiese svogliata.
- Sì. Ho un compito per te e credo ti piacerà. - risposi.
- Cosa devo fare? - chiese senza esitare.
Rimasi in silenzio cercando di trovare il coraggio per dirlo. - Devi
sistemare quattro tue conoscenze. -
Lei rise. - Tu che chiedi a me di uccidere delle persone? Strano. -
- Vuoi aiutarmi o no? - chiesi scontroso. Era inutile, non mi piaceva
qull'idea ma non c'era altra scelta.
- E me lo chiedi pure? Certo che ti aiuterò. È da tempo che ho
sistemato quella faccenda, ma avevo paura che... - provò a
giustificarsi.
- Sì, lo so... mi dispiace di essere stata dura con te,
Kaily. Tu sei come una sorella per me, ti voglio e ti vorrò sempre
bene nonostante tutto. - le risposi tristemente.
La sentii respirare ma non parlò per alcuni minuti. - Dimmi ora e
posto. Ti coprirò le spalle, sempre e comunque. - Aveva la voce
rotta come se avesse un nodi alla gola.
- Charity Hospital, stasera alle sette e quarantacinque. Cerca un
posto dove tu possa vedere l'interno della vetrata principale del
palazzo, saremo lì. - sospirai. - Per quella faccenda, ne
parleremo quando sarà tutto finito, okay? - le chiesi con dolcezza.
- Va bene, sarò puntuale. Tu cerca di non morire. - mi fece.
Sorrisi. - Non questa volta. Te lo prometto. - e riattaccai.
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