20 Luglio 1948
Erano passati
otto giorni dall'aggressione, lentamente mi ero ripresa anche se la
paura era sempre presente. Alcune volte, quando Joseph mi sfiorava,
trasalivo e mi irrigidivo. Sapevo che lui non mi avrebbe mai fatto
del male ma quella esperienza mi era rimasta impressa.
Nessuno si era
più presentato da quel giorno. Forse hanno capito la lezione,
pensai mentre leggevo uno dei miei libri. In realtà era più una
speranza che un pensiero.
Joseph era
addormentato accanto a me e il fuoco scricchiolava nel camino.
L'atmosfera era molto tranquilla e rilassata che gli occhi non
riuscivano a rimanere aperti. Stavo per addormentarmi quando udii
delle urla in lontananza.
Joseph si alzò
di scatto a sedere. - Sono tornati. - mi fece. Il suo volto era serio
e attento, per un attimo mi ricordò Evaline. Quello sguardo mi fece
riprendere dallo stordimento.
Presi il mio
diario, che avevo iniziato a scrivere dopo l'aggressione, un coltello
militare per difendermi, che mi aveva regalato Joseph, misi tutto in
uno zaino militare e uscii velocemente. Era il piano che avevamo
programmato in caso di emergenza: dovevo fuggire verso la pietra
vicino al Vallo di Adriano mentre lui sarebbe rimasto a combattere.
Io mi ero opposta ma lui non voleva sentire ragioni, quindi
riluttante accettai.
Appena fuori di
casa notai delle torce e una piccola folla inferocita. Sgranai gli
occhi e mi misi a correre più velocemente che potevo verso il bosco.
Speravo che Joseph potesse risolvere la situazione senza lottare, non
volevo perdere anche lui.
Qualche minuto
dopo udii degli spari e delle urla, la battaglia era iniziata. Mi
fermai e ripensai a quando quel pazzo di Emris mi aveva portata alla
festa di Halloween e aveva cercato di portarmi in un'altra
dimensione. Per farlo aveva fatto diventare una ragazza,
Amber, una
pluriomicida: aveva ucciso venti persone per accumulare forza vitale
e alla fine era stata sacrificata per il rito per l'apertura del
portale dimensionale. Le ultime cinque vittime le aveva freddate con
una pistola.
Tornai a
correre e raggiunsi il Vallo di Adriano, lo percorsi verso est finché
non trovai i punto concordato e mi sedetti sulla pietra scolpita
sperando di rivedere presto Joseph.
Dopo svariati
minuti ancora non era arrivato nessuno e cominciai a preoccuparmi. Ti
prego, Joseph, non farti uccidere. Ti prego, continuavo a pensare
mentre voltavo lo sguardo da destra a sinistra.
Un fruscio nel
bosco mi fece trasalire, una figura umanoide nera si avvicinò sempre
di più. - Non ti avvicinare. Chi sei? - chiesi, ma non ricevetti
risposta.
Io, per
sicurezza, feci per prendere il coltello dallo zaino ma la figura
scattò in avanti e mi bloccò il polso. Io alzai lo sguardo
riconoscendo il ragazzo che avevo di fronte, lo stesso che aveva
tentato di violentarmi giorni prima.
- Eccoti qua! -
fece un sorriso malefico lui. Avevo i sudori freddi e non riuscivo a
muovermi, ero paralizzata dal terrore.
- L-lasciami
andare... - provai a dirgli ma la voce era come bloccata.
Lui rise ancora
di più. - Oh, non ci penso nemmeno. Hai un debito da pagare piccola
puttanella scozzese. - Con uno scatto del polso mi torse il braccio
fino a farmi girare a forza di schiena.
Provai a
scalciare e a divincolarmi ma non sortì alcun effetto. Lui con
l'altra mano mi alzò la gonna e io cominciai a urlare. Ero
totalmente nel panico e alla mercé di quel ragazzo.
- Urla quanto
ti pare, tanto qui non ti sentirà nessuno, mia rossetta selvaggia. -
era eccitato e si stava slacciando i pantaloni. Ormai mi sentivo
rassegnata mentre mi strappava via le mutandine e cominciai a
piangere per la disperazione.
Evaline, mi
dispiace tanto, dopo questo non riuscirò a mantenere la promessa,
dopo quello che stavo per subire non avevo intenzione di continuare a
vivere, non con quella paura e non in quell'epoca.
Poco prima di
essere penetrata, udii una persona correre verso la mia direzione e
sbraitare: - Che cazzo credi di fare, maiale bastardo?
Subito dopo un
gemito di dolore proveniente dal ragazzo mi fece capire che era stato
colpito da qualcosa, bloccando il suo tentativo di possedermi.
Io mi
divincolai facilmente dalla presa e scavalcai la roccia afferrando lo
zaino. Mi girai verso la persona che aveva urlato e riconobbi il viso
di Joseph alla luce della luna, i suoi vestiti erano sporchi di
sangue.
Joseph si gettò
verso il suo avversario armato con un pezzo di legno e lo colpì
ripetutamente. Ma, all'ultimo colpo, il ragazzo afferrò l'arma
improvvisata di Joseph e si rialzò.
- Senza armi
decenti non fai tanto il gradasso, eh? - sbraitò il ragazzo.
Joseph sembrava
leggermente intimorito. Il ragazzo gettò lontano il ramo e diede un
pugno al suo avversario gettandolo a terra.
Io, presa dal
panico, aprii lo zaino tirai fuori il coltello. Asciai cadere lo
zaino e saltai di nuovo sulla roccia per prendere lo slancio e gli
conficcai il coltello nel collo del ragazzo che stava prendendo a
calci Joseph.
- Questo è per
l'altro giorno, porco schifoso. - gli urlai per attirare la sua
attenzione.
Il ragazzo urlò
di dolore e con un gesto involontario mi sferrò una sberla in volto
così forte da gettarmi a terra.
Joseph, dolorante, si
rialzò e afferrò il coltello, lo estrasse per poi colpire di nuovo
il ragazzo al petto, che cadde in ginocchio. Joseph provò a sfilare
la lama dal petto del suo avversario ma sembrava essersi incastrato
nello sterno, quindi prese un sasso e lo colpì al volto.
Il ragazzo cadde a terra
ma Joseph si mise a cavalcioni sopra di lui e continuò a colpirlo in
volto fino a sfondargli il cranio. Lo sguardo di Joseph era quello di
una persona che non aveva nulla da perdere, solo furia omicida.
Poi si fermò, prese fiato
e si alzò. Rimase per un istante immobile poi cominciò a prendere a
calci il cadavere.
Non sembrava più il
ragazzo gentile che conoscevo, sembrava il classico mostro che perde
il controllo quando distruggi qualcosa a lui caro.
Mi rialzai e lo spinsi via
dicendo: - Basta! Fermo! È morto, basta!
Lui mi guardò stordito. -
Lui ha di nuovo... lui ti ha... - provò a dire.
- Calmati, non c'è
riuscito. Non ha fatto nulla. Respira, adesso. Respira. - continuai a
spiegargli.
Lui mi prese per le spalle
e mi guardò. - Sicura?
- Sì, sicurissima. Non ha
fatto nulla. - gli ripetei.
Lui si lasciò cadere
sulle ginocchia e mi abbracciò in vita. - Meno male. Tess tu sei
l'unica cosa che mi è rimasta. - confessò scoppiando a piangere.
Io gli accarezzai la
testa. Non riuscivo a credere che anche lui si sentisse cosi solo da
aggrapparsi a me, ma forse ero ancora scombussolata dal trovarmi
negli anni quaranta che non ero riuscita ad accorgermene.
Vivere in quel periodo era
più pericoloso che mai e credevo di non avere nessuno a cui
affidarmi. Mi sbagliavo, avevo trovato un amico disposto a
sacrificare la vita per me. Ma non sapevo se fosse un bene o un male.
Sapevo solo che dovevo andare avanti e trovare un modo per tornare a
casa, per tornare a New Orleans.
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