24 Marzo 1956
Per metà del
tempo Samari non aveva detto una parola sul motivo per cui era stata
cacciata di casa, ma per il resto era stata una coinquilina perfetta.
Una sera riuscii a farle sputare il rospo: era andata a una
manifestazione sugli abusi a danno dei neri che purtroppo è sfociata
in uno scontro fisico con le forze dell'ordine della città, ci sono
stati tre morti e centinaia di feriti sopratutto tra i manifestanti.
Riuscii
miracolosamente a mantenere il lavoro anche se il mio capo mi
trattava con sufficienza e mi faceva il triplo delle mie colleghe ma
in cambio non aveva più parlato della mia vita privata.
Quell'uomo
fa tanta scena ma se gli urli addosso la maschera cade, avevo
pensato quando ero tornata alla locanda.
Era ormai una
settimana che lavoravo e il rapporto con Cecilia e Mandy erano ancora
tesi anche se tornarono subito a parlarmi.
L'ora di punta
di quel giorno era particolarmente affollato e all'inizio ci non feci
caso ma un ragazzo era entrato nella sala. Con i capelli corti non
lo avevo riconosciuto visto che di solito li portava lunghi e legati
con una coda.
Quando il
ragazzo arrivò al bancone mi porse i soldi per ordinare e mi disse:
- Vorrei una birra scura per cortesia.
Osservai le sue
mani, erano piene di cicatrici di tagli, una in particolare mi fece
sussultare: era un taglio che percorreva tutto il palmo destro
risalente alle seconda guerra mondiale. Alzai lo sguardo e i miei
dubbi diventarono certezze: alto, prestante dai capelli castani mossi
e penetranti occhi azzurri.
Per qualche
secondo rimasi imbambolata a fissarlo. Sexy, arrossii. Poi mi
schiarii la voce e tornai in me. - Cosa ci fai qui?
Lui mi sventolò i soldi
davanti agli occhi. - Per una birra...? - mi sorrise confuso.
- E hai attraversato
l'oceano solo per bere la schifosa birra annacquata che serviamo qui?
- replicai. Non riuscivo a credere che fosse davvero venuto a
cercarmi.
Il ragazzo si guardò
attorno. - … Sì!
Scrollai le spalle, presi
un bicchiere e lo riempii di birra e gliela misi davanti. - Ecco a
te. Buona fortuna. - e presi i sodi.
Lui mi sorrise. - Perché?
Era rimasto il ragazzo che
mi aveva salvato in Scozia e stranamente la cosa mi dava sui nervi.
Molto spesso avevo pensato che mi avesse considerata come una sorella
minore. Mi ha sempre trattata come una bambina anche quando ormai ero
diventata adulta.
Gli diedi il resto. - Per
il fegato. - lo schernii e tornai a lavorare.
Per tutto il tempo era
rimasto seduto ad un tavolo a guardarmi e a sorridermi quando
incrociavamo lo sguardo. Sembrava un teenager alla prima cotta.
- Ma chi è quello, ti
sorride in continuazione? - mi chiese Mandy.
- Uno che conosco. - le
risposi mentre servivo l'ennesimo cliente.
Cecilia dalle mie spalle.
- Credo che lui voglia conoscerti di più.
- Sì come no. Fidatevi,
non è quel il tipo di persona. - Quando lo dissi un po' mi
rattristai.
- Se non lo vuoi tu, me lo
prendo io. È così carino. - sospirò Mandy.
- Non se arrivo prima io.
- replicò Cecilia.
Sbuffai. - La piantate voi
due?
Entrambe si misero a
ridere come se la discussione di alcune settimane prima non fosse mai
avvenuta. La cosa mi faceva ancora arrabbiare quindi non risposi.
Cecilia e Mandy
continuarono a fare battutine sceme e a ribadire quanto fosse carino.
Come se non lo sapessi, pensai amareggiata.
Quando finii il turno il
ragazzo si alzò e uscì aspettandomi davanti all'entrata principale.
Io andai in spogliatoio e mi cambiai. Sapevo che il momento per la
ramanzina sarebbe arrivata. Tornai in sala e salutai.
- Mi raccomando, lasciane
un po' anche per noi. - ridacchiò Mandy. Cecilia stava ridendo.
Alzai gli occhi al cielo e
uscii.
- Ciao, Tess. - mi fece il
ragazzo appena mi vide uscire.
- Ciao, Joseph. - risposi.
- Vedo che stai bene. -
continuò.
- Già... - Non sapevo che
dire e guardai in basso imbarazzata. Poi presi un profondo respiro,
lo guardai negli occhi e riproposi la domanda: - Che cosa ci fai qui?
Joseph sbuffò. - Davvero
me lo chiedi? Sono qui per te. Mesi fa sei scappata lasciandomi da
solo, poi ho notato alcuni ritagli di giornale di questa città e
sono partito. - mi rispose.
- Capisco... - Era cosi
preoccupato che ha frugato tra le cose che avevo lasciato a casa sua.
- Io no. Perché sei
scappata senza dirmi niente? - mi chiese.
Tolsi di nuovo lo sguardo,
mi sentivo in colpa. - Io sono nata qui. Questa è casa mia e qui
c'erano i miei amici, la mia famiglia. Dovevo sapere se c'erano
ancora, dovevo vedere con i miei occhi, capisci? - Avevo un nodo alla
gola, ripensai a Evaline e agli altri ma scacciai subito
quell'immagine dalla mia mente.
- Avresti dovuto dirmelo.
Ti avrei aiutata. - mi rimproverò Joseph.
- Non hai capito, allora.
Non volevo coinvolgerti e nemmeno farti entrare nel mio mondo. È
troppo pericoloso. - gli urlai.
Dopo avermi salvata quella
notte di otto anni prima, per lui era stata dura. Incubi della
guerra, scatti d'umore improvvisi, giorni in cui spariva, altri in
cui non riusciva ad alzarsi dal letto. Farlo entrare nel mondo delle
streghe era l'ultima cosa che volevo fare.
Non voglio perdere
anche lui, non lo sopporterei, mi meravigliai di quel pensiero e
il mio cuore cominciò a palpitare più forte di prima.
Lui mi guardò confuso. -
Tess, ma io... - tentò di replicare.
Io feci un gesto con la
mano per farlo stare zitto, mi girai e me ne tornai a casa ignorando
Joseph che continuava a chiamarmi per farmi tornare indietro.
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