16 Marzo 1994
Era dura
sopravvivere con la sola cartomanzia. Steve era impegnato con il
figlio e non riusciva a farmi da guardia del corpo, e per quanto
riguardava Era non avevo coperto nulla nonostante il posto
privilegiato nel suo Gran Circolo.
Ero scoraggiata
e frustrata, mi sentivo come se non stessi facendo abbastanza.
A metà marzo
ricevetti una telefonata. Inizialmente non avevo voglia di rispondere
poi mi feci coraggio ed alzai la cornetta.
- Pronto! -
feci poco convinta.
- Ciao, mamma.
- mi fece una voce maschile.
- Murphen? -
chiesi per essere sicura.
- Sì, sono io.
Senti, poi venire in ospedale? - mi chiese.
- Ospedale?
Stai male? È successo qualcosa? - cercai di capire.
Lui sospirò. -
Vieni e basta, va bene?
- Certo, certo.
Arrivo il prima possibile. - gli risposi.
Murphen non mi
aveva più chiamata dal suo matrimonio con Mikela, mi dava la colpa
della morte di suo padre ed era anche riluttante verso il mio lavoro.
Non lo biasimavo se provava odio nei miei confronti. Se mi chiamava
doveva essere per qualcosa di serio.
Mi preparai in
fretta e uscii. Presi due autobus e un tram per arrivare davanti
l'entrata dell'ospedale ma ci misi comunque un'ora, New Orleans stava
diventando la città che ricordavo.
Appena entrata
nell'edificio mi fermai per prendere fiato. La vecchiaia avanza
Thessa!, cercai di ironizzare.
Mi avvicinai
alla segreteria dove c'era una donna dall'aspetto annoiato. -
Salve... - le dissi.
- Mi dica. - La
donna aveva anche la voce annoiata.
Io le sorrisi.
- Sì... ehm... avete ricoverato un uomo di nome Murphen?
Lei si girò
verso un vecchio monitor. - Spelling?
Mi schiarii la
voce. - M U R P H E N.
- No, nessuno
con quel nome, mi spiace. - mi rispose.
- Allora una
donna di nome Mikela? - le chiesi ancora. Se non era lui forse era
successo qualcosa a sua moglie.
- Spelling? -
chiese la donna.
Ma fa per
davvero?, rimasi imbambolata. - M I K E L A. - le feci un sorriso
tirato.
- Sì, c'è un
riscontro. Quarto piano, corridoio a sinistra. Arrivederci. - mi
rispose.
- Grazie mille!
- e mi avviai verso l'ascensore.
Attesi che le
porte si aprissero, entrai e premetti il numero quattro. Una volta
uscita dall'ascensore mi diressi verso il corridoio a sinistra ma non
trovai nessuno che conoscevo. Per un attimo pensai che la segretaria
mi avesse preso in giro, poi però sul fondo vidi il viso di mio
figlio e gli andai incontro.
- Cos'è
successo? - chiesi preoccupata.
- Madre... - mi
salutò con freddezza. - Niente. Mikela è in travaglio e voleva
tutti i nonni della piccola il giorno del parto. - mi fece un cenno
verso i genitori di Mikela.
Sospirai
rincuorata. - Meno male. - Poi ripensai alla frase che mi aveva
appena detto Murphen. - Aspetta, Mikela è incinta e non mi hai detto
niente? - lo guardai confusa.
- Perché avrei
dovuto? È la mia vita, non la tua. - mi fulminò con lo sguardo.
Quella frase mi
fece male al cuore, non credevo che il suo risentimento nei miei
confronti fosse così profondo. - Ah, va bene... mi fa piacere che tu
stia bene. - gli sorrisi trattenendo le lacrime.
- Sì, come
no... - rispose sprezzante Murphen.
Provai a
replicare ma un'infermiera uscì dalla sala parto. - Signor Deraneau,
sua moglie chiede la sua presenza.
- Arrivo
subito. - gli rispose lui. Poi seguì l'infermiera all'interno.
Io mi misi a
sedere su una poltroncina lì accanto, ero stanca. Continuavo a
pensare: Ti prego fa che vada tutto bene!
Dopo alcune ore
il dottore uscì e ci disse: - È andato tutto bene. Abbiamo avuto
delle complicazioni ma la bimba e la madre stanno bene.
- Che tipo di
complicazioni? - gli chiesi.
- Purtroppo
abbiamo dovuto operare per colpa di un'emorragia interna. La signora
Deraneau non potrà più avere bambini, purtroppo. - rispose il
dottore.
- Capisco...
possiamo entrare ora? - continuai.
- Certo, ma
solo uno alla volta. La mamma ha bisogno di riposo. - ci sorrise e si
congedò.
Rimasi ad
aspettare il mio turno, l'ultimo, ed entrai. Per terra c'era ancora
molto sangue e pezzi di placenta e le infermiere erano a lavoro per
pulire al meglio quel disastro.
Guardai
Murphen. - Come stanno?
- Bene. Stanno
entrambe bene. - mi rispose lui. Il suo viso era preoccupato ma feci
finta di niente.
Spostai lo
sguardo verso Mikela che aveva il viso pallido e con in braccio un
fagotto rosa. - Posso...?
Murphen guardò
Mikela poco convinto ma lei lo rimproverò con gli occhi. - Certo. -
mi sorrise lei. Mi avvicinai e con molta cautela presi in braccio la
bambina.
Per un istante
non me ne resi conto. Quando guardai la bambina negli occhi il cuore
mi si fermò lasciandomi senza fiato. Erano due straordinari occhi
viola. Sapevo, per esperienza personale, che il colore degli occhi
delle streghe non erano come quelli umani, si sviluppavano
nell'istante stesso in cui venivano al mondo.
Cominciai a
tremare. - Come... come... come... l'avete... chiamata?
- Evaline.
Evaline Deraneau. Credo sia un nome italo-francese... - rispose
Murphen.
Mi guardai
attorno, cercavo un posto dove potermi sedere. - Dovevo sedermi. -
boffonchiai. Un'infermiera mi sentì e mi portò una poltroncina dove
rimasi a fissare la neonata, poi scoppiai a piangere. Erano lacrime
di gioia.
Dopo alcuni
minuti mi ripresi dallo shock, restituii Evaline a Mikela e, senza
dire una parola, uscii da quella stanza. Avevo bisogno di aria
fresca.
A metà
percorso per arrivare all'ascensore, Murphen mi bloccò per un
braccio. - Si può sapere che ti prende? - mi chiese furibondo.
Io mi asciugai
le lacrime. - Niente... - risposi.
- Niente un
corno. Prendi la bambina in braccio, scoppi a piangere e poi te ne
vai senza dire una parola. Insomma, sei fuori di testa o cosa? - mi
rimproverò lui.
A quelle parole
non riuscii a trattenermi. - Io ti ho dato tutto quello che potevo,
ho sofferto per te, mi sono fatta il culo per farti diventare un
uomo. E non mi pento di nessuna di queste cose perché grazie a te ho
avuto una bellissima vita, nonostante tutto. - Lo presi per il
colletto della camicia e lo avvicinai al mio viso. - Ora sarai tu a
fare una cosa per me, razza di figlio screanzato.
- E cosa
sentiamo? Avanti, cartomante da quattro soldi, dimmi cosa devo fare
per te? - urlò furibondo Murphen.
- Dovrai tirare
su quella bambina come se fosse il tesoro più prezioso che tu abbia
al mondo! - sbraitai con le lacrime agli occhi.
Lo sguardo di
Murphen cambiò, si ammorbidì, e io lo lasciai andare. Rimase a
bocca aperta senza dire nulla. Io mi girai e presi l'ascensore.
Ero arrabbiata
con mio figlio ma anche al settimo cielo, finalmente tutta la mia
vita aveva avuto un senso. Ogni sofferenza, ogni battaglia, ogni
perdita erano dei tasselli per arrivare a quel giorno. Tutto per far
nascere la mia Sacerdotessa Evaline, ed ora anche l'amore più grande
della mia vita, la mia nipotina. Quel giorno era stato il più bello
di tutta la mia vita.