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mercoledì 26 luglio 2017

[Oneshot] Episodio 17

 



16 Marzo 1994


Era dura sopravvivere con la sola cartomanzia. Steve era impegnato con il figlio e non riusciva a farmi da guardia del corpo, e per quanto riguardava Era non avevo coperto nulla nonostante il posto privilegiato nel suo Gran Circolo.
Ero scoraggiata e frustrata, mi sentivo come se non stessi facendo abbastanza.
A metà marzo ricevetti una telefonata. Inizialmente non avevo voglia di rispondere poi mi feci coraggio ed alzai la cornetta.
- Pronto! - feci poco convinta.
- Ciao, mamma. - mi fece una voce maschile.
- Murphen? - chiesi per essere sicura.
- Sì, sono io. Senti, poi venire in ospedale? - mi chiese.
- Ospedale? Stai male? È successo qualcosa? - cercai di capire.
Lui sospirò. - Vieni e basta, va bene?
- Certo, certo. Arrivo il prima possibile. - gli risposi.
Murphen non mi aveva più chiamata dal suo matrimonio con Mikela, mi dava la colpa della morte di suo padre ed era anche riluttante verso il mio lavoro. Non lo biasimavo se provava odio nei miei confronti. Se mi chiamava doveva essere per qualcosa di serio.
Mi preparai in fretta e uscii. Presi due autobus e un tram per arrivare davanti l'entrata dell'ospedale ma ci misi comunque un'ora, New Orleans stava diventando la città che ricordavo.
Appena entrata nell'edificio mi fermai per prendere fiato. La vecchiaia avanza Thessa!, cercai di ironizzare.
Mi avvicinai alla segreteria dove c'era una donna dall'aspetto annoiato. - Salve... - le dissi.
- Mi dica. - La donna aveva anche la voce annoiata.
Io le sorrisi. - Sì... ehm... avete ricoverato un uomo di nome Murphen?
Lei si girò verso un vecchio monitor. - Spelling?
Mi schiarii la voce. - M U R P H E N.
- No, nessuno con quel nome, mi spiace. - mi rispose.
- Allora una donna di nome Mikela? - le chiesi ancora. Se non era lui forse era successo qualcosa a sua moglie.
- Spelling? - chiese la donna.
Ma fa per davvero?, rimasi imbambolata. - M I K E L A. - le feci un sorriso tirato.
- Sì, c'è un riscontro. Quarto piano, corridoio a sinistra. Arrivederci. - mi rispose.
- Grazie mille! - e mi avviai verso l'ascensore.
Attesi che le porte si aprissero, entrai e premetti il numero quattro. Una volta uscita dall'ascensore mi diressi verso il corridoio a sinistra ma non trovai nessuno che conoscevo. Per un attimo pensai che la segretaria mi avesse preso in giro, poi però sul fondo vidi il viso di mio figlio e gli andai incontro.
- Cos'è successo? - chiesi preoccupata.
- Madre... - mi salutò con freddezza. - Niente. Mikela è in travaglio e voleva tutti i nonni della piccola il giorno del parto. - mi fece un cenno verso i genitori di Mikela.
Sospirai rincuorata. - Meno male. - Poi ripensai alla frase che mi aveva appena detto Murphen. - Aspetta, Mikela è incinta e non mi hai detto niente? - lo guardai confusa.
- Perché avrei dovuto? È la mia vita, non la tua. - mi fulminò con lo sguardo.
Quella frase mi fece male al cuore, non credevo che il suo risentimento nei miei confronti fosse così profondo. - Ah, va bene... mi fa piacere che tu stia bene. - gli sorrisi trattenendo le lacrime.
- Sì, come no... - rispose sprezzante Murphen.
Provai a replicare ma un'infermiera uscì dalla sala parto. - Signor Deraneau, sua moglie chiede la sua presenza.
- Arrivo subito. - gli rispose lui. Poi seguì l'infermiera all'interno.
Io mi misi a sedere su una poltroncina lì accanto, ero stanca. Continuavo a pensare: Ti prego fa che vada tutto bene!
Dopo alcune ore il dottore uscì e ci disse: - È andato tutto bene. Abbiamo avuto delle complicazioni ma la bimba e la madre stanno bene.
- Che tipo di complicazioni? - gli chiesi.
- Purtroppo abbiamo dovuto operare per colpa di un'emorragia interna. La signora Deraneau non potrà più avere bambini, purtroppo. - rispose il dottore.
- Capisco... possiamo entrare ora? - continuai.
- Certo, ma solo uno alla volta. La mamma ha bisogno di riposo. - ci sorrise e si congedò.
Rimasi ad aspettare il mio turno, l'ultimo, ed entrai. Per terra c'era ancora molto sangue e pezzi di placenta e le infermiere erano a lavoro per pulire al meglio quel disastro.
Guardai Murphen. - Come stanno?
- Bene. Stanno entrambe bene. - mi rispose lui. Il suo viso era preoccupato ma feci finta di niente.
Spostai lo sguardo verso Mikela che aveva il viso pallido e con in braccio un fagotto rosa. - Posso...?
Murphen guardò Mikela poco convinto ma lei lo rimproverò con gli occhi. - Certo. - mi sorrise lei. Mi avvicinai e con molta cautela presi in braccio la bambina.
Per un istante non me ne resi conto. Quando guardai la bambina negli occhi il cuore mi si fermò lasciandomi senza fiato. Erano due straordinari occhi viola. Sapevo, per esperienza personale, che il colore degli occhi delle streghe non erano come quelli umani, si sviluppavano nell'istante stesso in cui venivano al mondo.
Cominciai a tremare. - Come... come... come... l'avete... chiamata?
- Evaline. Evaline Deraneau. Credo sia un nome italo-francese... - rispose Murphen.
Mi guardai attorno, cercavo un posto dove potermi sedere. - Dovevo sedermi. - boffonchiai. Un'infermiera mi sentì e mi portò una poltroncina dove rimasi a fissare la neonata, poi scoppiai a piangere. Erano lacrime di gioia.
Dopo alcuni minuti mi ripresi dallo shock, restituii Evaline a Mikela e, senza dire una parola, uscii da quella stanza. Avevo bisogno di aria fresca.
A metà percorso per arrivare all'ascensore, Murphen mi bloccò per un braccio. - Si può sapere che ti prende? - mi chiese furibondo.
Io mi asciugai le lacrime. - Niente... - risposi.
- Niente un corno. Prendi la bambina in braccio, scoppi a piangere e poi te ne vai senza dire una parola. Insomma, sei fuori di testa o cosa? - mi rimproverò lui.
A quelle parole non riuscii a trattenermi. - Io ti ho dato tutto quello che potevo, ho sofferto per te, mi sono fatta il culo per farti diventare un uomo. E non mi pento di nessuna di queste cose perché grazie a te ho avuto una bellissima vita, nonostante tutto. - Lo presi per il colletto della camicia e lo avvicinai al mio viso. - Ora sarai tu a fare una cosa per me, razza di figlio screanzato.
- E cosa sentiamo? Avanti, cartomante da quattro soldi, dimmi cosa devo fare per te? - urlò furibondo Murphen.
- Dovrai tirare su quella bambina come se fosse il tesoro più prezioso che tu abbia al mondo! - sbraitai con le lacrime agli occhi.
Lo sguardo di Murphen cambiò, si ammorbidì, e io lo lasciai andare. Rimase a bocca aperta senza dire nulla. Io mi girai e presi l'ascensore.
Ero arrabbiata con mio figlio ma anche al settimo cielo, finalmente tutta la mia vita aveva avuto un senso. Ogni sofferenza, ogni battaglia, ogni perdita erano dei tasselli per arrivare a quel giorno. Tutto per far nascere la mia Sacerdotessa Evaline, ed ora anche l'amore più grande della mia vita, la mia nipotina. Quel giorno era stato il più bello di tutta la mia vita.




Per chi volesse contribuire in questo modo all'editing dei libri: Grazie mille.


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