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mercoledì 19 aprile 2017

[Oneshot] Episodio 3




Non parlai con quel ragazzo per l'intera settimana, ero in profonda depressione. Ancora non riuscivo ad accettare di essere intrappolata in quell'epoca e che sarei nata a cinquantotto anni da quel momento.
Il ragazzo mi mise una mano sulla spalla. - Ehi. - mi fece.
- Cosa vuoi? - gli chiesi.
Lui ritrasse la mano. - Niente. Volevo solo sapere come ti sentivi oggi.
Non avevo mangiato molto e avevo passato le giornate a dormire. Ero rimasta sola per l'ennesima volta. Prima i miei genitori mi lasciano in affidamento, la congrega a coi faccio riferimento mi tradisce, poi Emris e in Gran Circolo mi rapisce a casa di quella simpatica vecchietta, ed infine per colpa dei miei poteri sono stata strappata alla famiglia che avevo finalmente trovato.
In tutta questa storia l'unica cosa che veramente mi faceva male era che non riuscivo a rinunciare a tornare da Evaline, Tiffany, Jolene, Francis, Valentine e Kaileena. Era tutto quello che desideravo.
- Sto bene. - gli mentii.
Lui sospirò. - Va bene... - Sembrava non esserne per niente convinto.
Mi aveva assistito e curato al meglio delle sue possibilità e io lo stavo trattando malissimo, mi stavo vergognando di me stessa.
- Cosa vuoi? - gli chiesi.
- Ecco... devo andare in paese a fare provviste. Voi venire? - mi propose balbettando.
Restai in silenzio per qualche secondo, non era una cattiva idea uscire. - Sì, vengo. - risposi.
Mi alzai e mi misi un vecchio giubbotto militare che il ragazzo mi aveva offerto. Ci impiegammo diverse ore per arrivare al paesino a valle. Il cartello, all'entrata del paese, c'era scritto Stroughtory.
Nome strano, forse è di un tizio ricco che l'ha fondato, pensai mentre seguivo il ragazzo.
Ogni casa di quel piccolo borgo tra le colline era in stile anni quaranta: le case, i negozi, le auto anche se poche, i vestiti e le acconciature della gente. Poi vidi un giornale sul tavolino di un bar e lessi la data 1947. Mi salì un nodo alla gola, feci qualche passo indietro e per poco non inciampai. Il ragazzo riuscì a reggermi da dietro la schiena. Mi girai e mi misi a piangere sulla sua spalla.
Lui mi avvolse le guance tra le mani, erano calde e ruvide. - Ora va meglio?
Lo guardai negli occhi. - No, non va meglio. - gli sorrisi.
Lui rise. - Mi dici come ti chiami?
- Thess... - non riuscii nemmeno a finire il mio nome da quanto ero sconvolta.
- Tess. Bellissimo nome. Io mi chiamo Joseph Deraneau. Ora, Tess, non so cosa ti giri per la mente ma cerca di riprenderti altrimenti non andrai avanti. Dobbiamo farci forza a vicenda, capito? - mi spiegò lui.
- Okay, ho capito. - annuii.
- Sì, sei con me? - cercò conferma.
Feci di sì con la testa.
All'inizio non capii cosa stesse dicendo ma, quando arrivammo al mercato di paese, lo vidi rubare del cibo dalle bancarelle pensai: E ora sono complice di un ladro, fantastico!
Quando lo beccarono mi prese la mano e ci mettemmo a correre per non essere presi. La cosa mi fece sorridere ma capii anche che aveva ragione: quelli erano tempi duri e non ci si poteva sedere sugli allori ma darsi da fare per sopravvivere. Accettai, anche se riluttante, il mio destino.




Per chi volesse contribuire in questo modo all'editing: Grazie mille.



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