Non parlai con
quel ragazzo per l'intera settimana, ero in profonda depressione.
Ancora non riuscivo ad accettare di essere intrappolata in
quell'epoca e che sarei nata a cinquantotto anni da quel momento.
Il ragazzo mi
mise una mano sulla spalla. - Ehi. - mi fece.
- Cosa vuoi? -
gli chiesi.
Lui ritrasse la
mano. - Niente. Volevo solo sapere come ti sentivi oggi.
Non avevo
mangiato molto e avevo passato le giornate a dormire. Ero rimasta
sola per l'ennesima volta. Prima i miei genitori mi lasciano in
affidamento, la congrega a coi faccio riferimento mi tradisce, poi
Emris e in Gran Circolo mi rapisce a casa di quella simpatica
vecchietta, ed infine per colpa dei miei poteri sono stata strappata
alla famiglia che avevo finalmente trovato.
In tutta questa
storia l'unica cosa che veramente mi faceva male era che non riuscivo
a rinunciare a tornare da Evaline, Tiffany, Jolene, Francis,
Valentine e Kaileena. Era tutto quello che desideravo.
- Sto bene. -
gli mentii.
Lui sospirò. -
Va bene... - Sembrava non esserne per niente convinto.
Mi aveva
assistito e curato al meglio delle sue possibilità e io lo stavo
trattando malissimo, mi stavo vergognando di me stessa.
- Cosa vuoi? -
gli chiesi.
- Ecco... devo
andare in paese a fare provviste. Voi venire? - mi propose
balbettando.
Restai in
silenzio per qualche secondo, non era una cattiva idea uscire. - Sì,
vengo. - risposi.
Mi alzai e mi
misi un vecchio giubbotto militare che il ragazzo mi aveva offerto.
Ci impiegammo diverse ore per arrivare al paesino a valle. Il
cartello, all'entrata del paese, c'era scritto Stroughtory.
Nome strano,
forse è di un tizio ricco che l'ha fondato, pensai mentre
seguivo il ragazzo.
Ogni casa di
quel piccolo borgo tra le colline era in stile anni quaranta: le
case, i negozi, le auto anche se poche, i vestiti e le acconciature
della gente. Poi vidi un giornale sul tavolino di un bar e lessi la
data 1947. Mi salì un nodo alla gola, feci qualche passo indietro e
per poco non inciampai. Il ragazzo riuscì a reggermi da dietro la
schiena. Mi girai e mi misi a piangere sulla sua spalla.
Lui mi avvolse
le guance tra le mani, erano calde e ruvide. - Ora va meglio?
Lo guardai
negli occhi. - No, non va meglio. - gli sorrisi.
Lui rise. - Mi
dici come ti chiami?
- Thess... -
non riuscii nemmeno a finire il mio nome da quanto ero sconvolta.
- Tess.
Bellissimo nome. Io mi chiamo Joseph Deraneau. Ora, Tess, non so cosa
ti giri per la mente ma cerca di riprenderti altrimenti non andrai
avanti. Dobbiamo farci forza a vicenda, capito? - mi spiegò lui.
- Okay, ho
capito. - annuii.
- Sì, sei con
me? - cercò conferma.
Feci di sì con
la testa.
All'inizio non
capii cosa stesse dicendo ma, quando arrivammo al mercato di paese,
lo vidi rubare del cibo dalle bancarelle pensai: E ora sono
complice di un ladro, fantastico!
Quando lo
beccarono mi prese la mano e ci mettemmo a correre per non essere
presi. La cosa mi fece sorridere ma capii anche che aveva ragione:
quelli erano tempi duri e non ci si poteva sedere sugli allori ma
darsi da fare per sopravvivere. Accettai, anche se riluttante, il mio
destino.
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