Stavamo per tornarcene a casa quando un poliziotto sbucò dall'entrata del liceo e corse verso un suo collega.
Il collega appena sentita la notizia sbiancò, poi si girò verso di noi e si avvicinò - Lei deve rimanere qui. Abbiamo molte altre domande da farle. - fece in tono autoritario verso Jolene.
- Ma io non... - provò a dire lei.
- Scusate, ma ora devo andare! Parleremo più tardi. - si congedò lui.
Il poliziotto corse fuori dall'edificio e svoltò subito verso destra. Qualcosa lo aveva sconvolto e di sicuro si trovava in quella direzione.
- Rimanete qui, vado a vedere io. - ordinai agli altri.
- Non se ne parla, veniamo con te. O tutti o nessuno. - replicò Jolene.
Tiffany fece spallucce, Francis annuì.
- La maggioranza vince! - decretò Jolene mentre si incamminava fuori dal liceo.
Guardai male Tiffany e Francis e seguii Jolene.
Girammo a destra dove trovammo un altro edificio più piccolo e attaccato a quello più grande. La porta era aperta, entrammo e ci trovammo un locale caldaie a sinistra mentre a destra c'era una scala che scendeva a un piano interrato. Le voci di alcune persone rimbombarono nitidamente sulle pareti.
- Quindi? - fece una voce maschile.
- Non lo so con esattezza, ma sono sicura che è successo due giorni fa. - fece un'altra voce.
Scendemmo le scale mentre parlavano, uno strano odore si fece largo nelle mie narici. Mi misi la mano sulla bocca ma la puzza aumentava e non riuscii a resistere dal emettere mugugni di disgusto.
La cantina era spaziosa con all'interno cisterne e scaffali pieni di attrezzi vari. A terra, al centro della stanza, c'era il corpo di un ragazzo magro vestito con jeans e maglietta, entrambi sporchi di sangue secco. Affianco a lui due persone, il poliziotto che ci aveva parlato e una donna sulla quarantina vestita in borghese.
I due si girarono sorpresi - Che ci fate voi qui sotto? - chiese il poliziotto.
- Volevamo solo sapere cosa ci stava succe... - provai a dire ma fui interrotto.
- Questa è la scena di un crimine non potete stare qui. - sbraitò l'uomo.
Jolene mi spinse di lato e guardò la scena - Joshua... - scostò lo sguardo con la mano sulla bocca.
La donna fece un passo verso di noi - Conoscevi la vittima? -
Jolene la guardò negli occhi - Sì, faceva parte di un gruppo di ragazzi che praticavano la wicca. Il suo amichetto in divisa ha tutti i nomi. - indicò il poliziotto con un cenno della testa.
La donna fece si con la testa - Capisco. Quindi si trattano di riti satanici, era da un bel po' che non ne vedevo uno. Ora che ci penso fra poco c'è Halloween, forse l'assassino sta preparando qualcosa per quella data. È incredibile che esista ancora gente che crede di evocare il Diavolo uccidendo persone. -
"Cazzo! Poteva dire tutto tranne quello. Perché i poliziotti sono così stupidi?" pensai mentre mi giravo verso jolene, aveva il volto di una persona che stava per esplodere "Devo calmarle gli animi altrimenti qui finisce male."
Jolene fece un passo in avanti, stava per replicare alla deduzione del tutto arbitraria della donna, ma la presi per i fianchi e la spinsi via - Scusateci per il disturbo, ora ce ne andiamo. - dissi con un sorriso. Feci cenno a Jolene di stare zitta e di uscire.
Sapevo quanto Jolene ci tenesse al culto antico della sua famiglia e la wicca era la cosa che più ci si avvicinava, anche se era lontana anni luce dalla realtà del nostro mondo.
Lei continuò a dimenarsi e insultarci per tutto il tragitto. Una volta fuori la gettai ancora di più verso l'esterno. Non volevo che il poliziotto si facesse ancora di più un'opinione sbagliata si Jolene.
- Che cazzo fai? Quella puttana zitella ha insultato chi venera la natura paragonandoli a dei maniaci che praticano riti satanici. Non sa nemmeno di che cazzo sta parlando. - sbraitò cercando di tornare dentro.
La bloccai e la spinsi di nuovo indietro - Lo so. Adesso però calmati, okay? - cercai di dirle con tono calmo e pacato.
Jolene si mise le mani tra i capelli sempre più agitata - Lo sai? Lo sai, mamma? - andava a destra e a sinistra, non riusciva a stare ferma - Come fai a saperlo? Come fai a sapere come mi sento quando il mondo in cui vivi ti strappa via persone a cui tieni? Come? - verso la fine cominciò anche a piangere.
Francis fece un passo in avanti e si fermò un istante come se avesse paura di intervenire, poi continuò a camminare finché non raggiunse Jolene e le strinse le spalle - Io so cosa si prova, ho perso tutto. Ma ho ricevuto un'altra possibilità e non intendo sprecarla. Vivrò assieme a voi fino alla fine. Farò tutto il possibile affinché tu non debba perdere più nessuno. -
Lei lo guardò negli occhi. - È vero. - sorrise, poi gli prese le guance tra le mani per fissarlo meglio - Chi meglio di un assassino può capire una vittima. - il suo sguardo era cambiato in disprezzo. Lo lasciò andare, si girò e se ne andò.
La sua reazione era dettata dalla paura di perdere di nuovo tutto e io l'avevo capito immediatamente.
Mi misi accanto a Francis - Non voleva dire quelle... -
Francis mi interruppe - Ha ragione. - si girò verso di me con il viso rosso e contratto nel tentativo di nascondere le lacrime - Questo non significa che verrò meno alla promessa che ho fatto. Proteggerò tutti voi a qualunque costo. - i suoi occhi erano umidi ma non fece scendere nessuna lacrima.
Jolene lo aveva ferito nel profondo con quelle parole, era stata lei a rassicurarlo quando Marta era morta sotto gli occhi di Francis. Se lui aveva detto quelle cose nonostante le parole dure di Jolene significava che il loro legame era qualcosa che andava oltre il sentimento di odio-amore che provavano l'uno per l'altra.
Mi limitai ad annuire, non avevo altro da dire. Guardai Tiffany cercando un po' di conforto ma aveva di nuovo la testa fra le nuvole, stava sicuramente ripensando ai dubbi che le erano venuti in quei giorni. Mi sentivo impotente difronte a questi problemi, non sapevo come alleviare i loro pesi e nemmeno come far tornare più leggera l'atmosfera. Stava andando a rotoli ogni cosa e la colpa era solo mia.
In quel momento tornò fuori il poliziotto - Dov'è finita la mia indiziata? - fece con tono superiore.
- È tornata a casa! - fece Francis con tono di sfida.
L'uomo gli si avvicinò e lo guardò negli occhi furioso - Che cosa avevo specificato prima? Non ho forse detto che la ragazzina non doveva restare qui? -
Francis continuò a fissare a sua volta l'agente - Io non ricordo proprio un cazzo. -
- Ah no? Allora se ti spedisco in galera per duplice omicidio ti ritorna la memoria? -
Francis sorrise, un sorriso sardonico tradito dagli occhi freddi e calcolatori - E se io invece ti trascino dietro questo edificio e ti amm... -
- Ora basta! - urlai.
Entrambi si girarono verso di me, Francis si allontanò furtivamente, l'agente invece continuò a fissarmi - Il ragazzino mi ha appena... -
Lo interruppi subito - Non me ne fotte un beneamato cazzo. Lei non si permetta mai più di accusare un membro della mia famiglia armato di sole congetture campate in aria. - mi avvicinai a passo spedito verso di lui, riuscii a leggere la targhetta col suo nome attaccata al taschino - E se prova a minacciarci in quel modo le assicuro, agente Simons, che i suoi colleghi la ritroveranno nel Mississippi, pezzo dopo pezzo. - continuai a fissarlo dal basso, era più alto di me di una ventina di centimetri ma non mi lasciai intimidire.
L'uomo fece una smorfia, per un istante sembrava voler replicare ma poi si fermò, si grattò il naso, sorrise e mi passò accanto senza dire una parola.
Guardai Francis, che aveva lo sguardo soddisfatto, e Tiffany, che mi stava sorridendo. In quell'istante capii che non dovevo fare nulla di più di quello che farebbe una madre per tenere unita la sua famiglia, una sfida continua e senza garanzia di successo.
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